
Dargen D’Amico – Bir Tawil – recensione per FilmTv
Bir Tawil è un triangolo di terra al confine tra Egitto e Sudan che, per articolate ragioni geopolitiche, non è stato reclamato da nessuno Stato. Per Dargen D’Amico, naturalmente, è allegoria alla enne: il trionfo dell’irreperibilità assoluta, la stessa che sembra perseguire con rigore da Variazioni in poi, ma anche l’immagine di un tempo di amarezza e grazia insieme, di limitazione psicofisica da convogliare in laboratorio creativo, di distanza come espiazione per la catarsi (sì, è un lockdown album). 74 minuti che richiedono, come sempre, ascolti multipli e stratificati, ma che sanno stimolare anche reazioni di pura immediatezza: la tenerezza nello sforzo del conforto in Ma non era vero, la goliardia di Jacopo, il tour de force (13 minuti!) di Non sono più innamorato, serissima e delirante insieme.
Un caleidoscopio di ossessioni che confluiscono in altre ossessioni: il senso di fallimento, le dipendenze, la spirale della malattia (in Dalla parte della legge, dolorosa e straordinaria) e poi il cibo, onnipresente e conflittuale. Materiale che dovrebbe spaventare per imponenza e che invece Dargen fa evaporare fino a renderlo lieve, e persino spassoso, tramite doti che continuano a essergli esclusive: la distrazione come metodo, lo sviamento dal tema e la relativa inattesa ripresa, la rima fiera del suo nonsense, l’introspezione difesa dalla necessità di spiegare tutto. Metodo dargeniano classico in forma smagliante, per uno dei suoi migliori lavori di sempre. Non ci togliamo dalla testa la suggestione che sia uscito a dicembre proprio per beffare il carrozzone critico delle classifiche di fine anno: le avrebbe dominate.
Articolo apparso su Muzik, FilmTv n. 2/2021