
Achille Lauro – 1990 – recensione per FilmTV
È un oggetto strano, questo 1990 di Achille Lauro. Si spaccia per divertissement ma è ambizioso nell’enunciato: la consueta parabola sull’abisso e redenzione uber-cattolica di un bad boy all’italiana – un archetipo molto Scorsese anni 90 – sonorizzata da una macchina del tempo scagliata nell’italodance anni 90, lungo un percorso poco filologico e molto “associativo”.
Sweet dreams degli Eurythmics (1982) nel rifacimento di Marylin Manson (questo sì, 1995) è sovrapposta, a livello concettuale, a Sweet Dreams dei La Bouche (1994), a loro volta freezati dalla title track che inietta dramma in Be My Lover (1995). Scat Men si appropria non di Scatman ma della successiva Scatman’s World, uno Scatman John già a rimorchio del successo già ottenuto e quindi molto più decadente. Illusion di Benny Benassi è del 2003. The Summer is Magic di Corona è rallentata fino allo stordimento in Summer’s Imagine.
E poi c’è Blu, centerpiece dell’operazione, che innesta il classicone degli Eiffel 65 in una ballatona-confessione che parte come Strani amori di Laura Pausini e termina su Andromeda. Un gran casino, insomma, per essere 25 minuti di musica. O un pastiche libero, l’applicazione di un metodo rigoroso di interpolazione, chiaramente hip hop, applicato con sprezzo del ridicolo a un’estetica che ancora attende un concreto revival, che forse non arriverà mai, nonostante Fedez che punta le classifiche con una cover di Robert Miles: perché i Novanta, diversamente dagli Ottanta, sono solidificati nella memoria come un decennio di inquietudine e certezze che crollano, di disagi provinciali tumulati nello squallore (883, Masini) e sublimati nelle discoteche-labirinto agli angoli di qualche superstrada padana.
La cosa più interessante è di 1990 è proprio il suo umore elegiaco e finale: i motivetti in maggiore virano in un fetido minore, la dance è spesso decelerata, fin quasi a distorcersi, come in un incubo allucinato. La componente visual – tra Ken, Cioè, i video dei Vengaboys e quello mitologico di Kylie in auto nel tremendo futuro che arriva in Can’t Get You Out of My Head (2001) – sembra una riscrittura achillelaurizzata dei fantasmi di Mark Fisher, una nuova lettura di un passato che divora il presente fino a non lasciare altro che frammenti di memorie viscose, motivi che emergono e si inabissano subito, i’m-blue-da-ba-dee eccetera eccetera. Geniale? Orribile? Non è questo il punto, non lo è mai con Achille Lauro: è che 1990 è un altro rifiuto della medietà orrenda a cui la musica tutta italiana ci costringe dall’era dello streaming, un’idea estetica perseguita con coerenza e abnegazione così veementi da sembrare sublimi.
Articolo apparso in “Muzik”, pubblicato su “FilmTv, n. 28/2020″