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Per non lasciarci soli mai

Considerazioni su “Musica che unisce”, in onda su RaiUno il 31 marzo 2020. Post pubblicato il 1° aprile 2020 sulla pagina Facebook di Unadimille.

Tra le cose che abbiamo (ri)scoperto, oggi è il turno del suono acustico. Sotto la fitta coltre di eco sintetica che è stato il decennio appena passato, ci ritroviamo improvvisamente in una specie di sospensione di fronte alla tv per diverse ore di fila, stupiti dall’effetto che fa un piano domestico, una chitarra non amplificata, una voce in un tinello, che magari rimbomba per le scale di un condominio qualunque. O una sala prove domestica, uno di quei laboratori privati dove gli artisti creano, tentano, scartano, magari si rifugiano, come stiamo facendo noi, in questo tempo di immobilità. surreale, in pulizie che non facevamo da anni, acrobazie da chef nascosti, video momenti di socialità impensabili in un regime normale.

Anche loro, gli artisti, fragilissimi, vulnerabili, un po’ impauriti. Come chiunque altro. La voce in un salotto, magari quello di famiglia. Mobilia che sembrano non scelte ma ereditate, dvd accatastati, letti sfatti, quadri inspiegabili, chitarre appese al soffitto, chitarre appoggiate in un angolo, un disco d’oro appeso come il nostalgico ricordo di una gloria, un sacco di divani ikea, improbabili candele tibetane su un soprammobile. Tutto ordinario, tutto normale. Come noi questi giorni.
Acustici, unplugged, no filter, aspetta che metto le cuffie, aspetta che sistemo il cane.

La somma algebrica del valore delle canzoni eseguite in questo #MusicaCheUnisce non basta a giustificare il senso di drammatico pathos che lascia questo intero (come lo possiamo chiamare?) spettacolo. L’utopia di sublimare la paura con una cantata comune. L’improvvisa flessibilità del più statico dei palinsesti. I piani a misura di smartphone, i riflettori d’emergenza, i picture-in-picture moltiplicati allo sfinimento. La liquida abilità della tv di stare dentro a questo momento, dal punto di vista “acustico”.

L’intimità magnetica.

Sono gli stessi video che per settimane abbiamo visto saltellare fuori dai social. Eppure sui social sembrano pretese modeste, richieste vaneggianti di attenzioni. Come siamo noi, sui social. In tv è diventato altro: racconto pubblico. Sembrava che le canzoni fossero inutili a questo tempo, ma la Rai ha fatto una cosa da Rai d’altri tempi: ci ha stonato con una forte (e didattica, nel senso migliore del termine) illusione che la musica, pure lei, sia “necessaria”.