
Mina, la falsa assente
Un omaggio e una playlist per gli 80 anni di Mina, pubblicato su “FilmTv, 12/2020″
“Io non posso uscire a comprare un paio di scarpe tranquillamente o andare a un cinema, a passeggiare o andare a comprare il giornale, diventa subito un fatto, un casino. Sono stata tutta l’estate scorsa chiusa in casa (…) non riesco a trovare godimento, divertimento, piacere, una roba di compiacimentino nel fatto che fuori da casa mia, a Forte dei Marmi, c’era gente arrampicata sugli alberi. Mi dà un’angoscia terribile”.
Il 25 marzo 2020 Mina compie 80 anni di vita sul Pianeta Terra. Di questi più della metà, esattamente 42, sono passati senza che lei comparisse ufficialmente in video, e comunque quasi 50 in un autoimposto regime di distanza pubblica ferreo e rigoroso, violato all’occorrenza da scatti – invadenti, osceni – rubati all’ingresso di una pasticceria o coi sacchetti della spesa mentre rientra nella casa di Lugano, rifugio-bunker per riprendersi una vita. In una rara e illuminante intervista a Playboy del 1973 (contenuta in F. Fratarcangeli, Mina Talk, Coniglio Editore, 2005), nel momento più rovente del suo “progetto di isolamento”, sembrava dare una spiegazione netta a una delle sue ultime canzoni-simbolo, Non gioco più: “Non gliene frega un… a nessuno se canto bene se canto male, se non canto addirittura o se scrivo a macchina, mi vogliono vedere e basta, per controllare come ho i capelli, se sono grassa o sono magra, se ho gli anelli, che cosa ho negli occhi, capito? Non mi va di stare a questo gioco. Più.”
Si fa spesso riferimento alla vicenda del figlio-avuto-da-un-uomo-sposato per indicare l’impatto sociale che Mina ha avuto nell’Italia in rapida trasformazione del dopo boom; tuttavia quell’episodio ha dietro un’ulteriore lettura, ancora più simbolica: l’ingresso irreversibile del Paese nell’era della morbosità come intrattenimento, dello scollamento tra personaggio e persona e della relativa impossibilità dell’oblio, che alimenta oggi ogni micro-momento della nostra vita digitale. Per certi versi le dure parole di Mina sembrano anticipare di decenni uno dei temi portanti dell’intera cultura rap (non solo) italiana: l’ultimo grandioso album di Marracash, Persona (nomen omen), si muove interamente dentro la frattura tra una notorietà-gabbia e un’io da ritrovare.
E no, non è solo una questione che riguarda le star: la colossale scomparsa di Mina, la sua determinazione nel far parlare soltanto le canzoni sottraendosi all’intero circo della forma, è forse la vicenda pop che ha più indicato, per dialettica degli opposti, l’incunabolo in cui il nostro Paese si stava gradualmente andando a ficcare: i giochi delle coppie inframezzati dagli spot pubblicitari, i processi mediatizzati, lo show della cronaca nera, i signor nessuno spiati 24 ore su 24 come contrappasso per una notorietà priva di merito. E poi la grandefratellizzazione della politica, l’influerencizzazione della musica… Solo Battisti, legato da sempre a Mina da un filo invisibile ai comuni mortali, ha fatto qualcosa di analogo; più eretica della sua scomparsa fisica, tuttavia, è stata la radicalizzazione della sua lingua musicale, lo “scandalo” dei cinque album realizzati con Pasquale Panella come “fuga” dalla lingua cartesiana del pop italiano verso una landa della quale ancora non riusciamo a definire i contorni (perché è ancora il futuro).
Mina, invece, non ha mai attribuito alcuna pretesa filosofica alla sua produzione musicale che – e questo è forse il più incredibile dei paradossi – è rimasta fertilissima, quasi standardizzata, cadenzata con rilasci regolari, come gli aggiornamenti di sicurezza di un software. Una falsa assente, da oltre 40 anni sempre presente, cristallizzata nel maquillage delle deliranti copertine firmate da Mauro Balletti: una presenza polverizzata dentro un’icona irreale, un prodigio della post-produzione così imponente da permettere alla persona di scomparire del tutto (un po’ come Liberato, per parlare sempre delle “profezie” di Mina).
Assente pronta a ricomparire, con disinvolta pervasività, anche in occasione di iniziative di marketing plateale: dal mini-cd regalato ai neo-abbonati Wind ai primordi della telefonia mobile (The Wind Cries Mary, Blowin’ in the Wind, Ride like the Wind, Gone with the Wind… non proprio un sottilissimo gioco di branding) alla ricostruzione olografica per la Tim a Sanremo 2018, così terrificante da essere sublime, la Mina regina dei Caroselli è ancora una pioniera del content marketing, anticipatrice senza alcun timore dell’era in cui il personal branding è tanto più forte quanto è formidabile strumento di influence.
Dagli anni Settanta e senza mutazioni di format fino agli anni Novanta Mina pubblica due album l’anno, uno di inediti e uno di cover, a volte tematici (Sinatra, i Beatles, Modugno, Battisti, Zero, la musica sacra, i napoletani) e altre invece composti nel più assoluto eclettismo, come se la stessa scaletta dei dischi riflettesse la sua radicale libertà del gesto: così un Fossati sta insieme a un Buscaglione, una cover di Jobim con una della Carrà, Malafemmena con Billie Jean, Elvis con Nicola Di Bari, e si potrebbe andare avanti all’infinito. Senza nessuna timidezza verso le lingue straniere, anzi: il suo inglese-cremonese, che fa spesso strabuzzare gli occhi ai più critici, è diventato un altro tratto distintivo della sua unica personale parabola.
Mina è anche l’unica che da decenni può permettersi di scegliere un canzoniere inedito senza alcun vincolo legato alle edizioni musicali o a ragionamenti di convenienza commerciale: mentre in Italia artiste come Fiorella Mannoia e Mia Martini consolidavano l’idea dell’interprete d’autore, Mina ha confinato i nomi di grande prestigio tra illustri carneadi, la cui selezione è un’altra delle sue grandi mitologie: migliaia di demo spedite in quel di Lugano ogni anno che lei riceve e ascolta personalmente, scegliendo le future incisioni senza curarsi troppo di chi vi sia dietro.
E questo canzoniere aleatorio, alla fine, regala non di rado perle preziose, ancora adesso, come sanno bene le migliaia di fan che attendono ogni anno il nuovo fascicolo di questa Mina a puntate, impermeabile alle mode che cambiano e talvolta attraente proprio perché quasi sospesa in una bolla. Di questa copiosa produzione, che spazia dal kitsch imperituro ai capolavori della maturità, chi non sembra accorgersene sono soprattutto gli autori dei vari tributi e omaggi che la tv italiana ripropone a cadenza regolare, nei quali si tenta di compensare l’assenza di materiale post-ritiro con il repertorio già spolpato fino all’osso, da Studio Uno a Milleluci: una narrativa stanca, aggrappata ai video in bianco e nero e ai soliti aneddoti, che sembra non aver mai preso sul serio la Mina assente. Ci proviamo noi, in questa piccola playlist dell’E poi…; non una classifica – impossibile da fare! – solo un invito a perdersi tra le mille possibilità di un canzoniere assurdo, splendidamente incomprensibile.
PLAYLIST
CAPISCO, da Kyrie, 1979
Stralunato patchwork disco-rock un po’ alla Wings su un testo delirante, in cui una Mina iper-filtrata canta di fagiani, vitelli, gabbiani che leccano vernice… È il primo pezzo scritto come autore unico dal figlio Massimiliano Pani, 17enne (!) e promosso, da qui in avanti, arrangiatore unico.
MAGICA FOLLIA, da Italiana, 1982
Scritta da Andrea Lo Vecchio (co-autore di Luci a San Siro), è un saggio delle mille sfumature di Mina nell’interpretazione dell’eros, tra bisbiglio, sospiro, desiderio e graffio. Con quel sussulto (un po’ Battistiano) tra pianissimo e fortissimo che davvero materializza un letto caldo.
PROPRIO COME SEI, da Rane supreme, 1987
Atmosfera da jazz-club, arrangiamento di gran classe, la voce di Mina che indugia tra desiderio e rimpianto, in un festival di bisbigli, frasi buttate sottovoce quasi a temere di farsi sentire ed esplosioni improvvise di orgoglio. Firma ancora Massimiliano con Samuele Cerri.
STILE LIBERO, da Lochness, 1993
Solo voce e chitarra acustica per una perla da riscoprire, una storia alla Buzzati di tuffi nei navigli, arie della Tosca, signore che inorridiscono e Pernod in cui affogare. Elegante e lieve, è la miglior Mina d’autore, un Claudio Sanfilippo che diventerà uno dei nomi più in vista della nuova scena meneghina.
DOTTORE con Beppe Grillo, da Cremona, 1996
Mina interrompe la tradizione dei dischi doppi e centra un successo di vendite clamoroso (700mila copie). Tra ballate sontuose e un suono caldissimo, c’è spazio per questo funk isterico e ipocondriaco, in duetto con un Grillo pre-politico (ma non troppo).
JOHNNY, da Leggera, 1997
Passo elettro-funk, liriche da Casablanca, un cantato vertiginoso che si mantiene bassissimo per mezzo brano e poi svetta dove nessuno può arrivare. Un gioiello irresistibile di eros e vendetta amorosa, firmato dalla talentuosa Giulia Fasolino.
E MI MANCHI da Olio, 1999
Una delle più struggenti ballate di mancanza amorosa mai cantate da Mina, venata in un RnB emolliente e aperta da un solo vocale da mozzare il fiato. È di Mauro Santoro, autore ricorrente di questa (sua anche la notevole Meglio così), con un passato nelle retrovie dell’italodisco.
CERTE COSE SI FANNO, da Veleno, 2002
Un tradimento impossibile da confessare, raccontato finalmente dal punto di vista di lei. Perla di Bruno Lauzi e Franco Fasano, caratterizzata da una struttura ascendente come uno sfogo smorzato, che Mina scaglia nel cielo di un suono notturno, graziato dalle chitarre di Alex Britti.
ADESSO E’ FACILE, da Facile, 2009
Due amanti conquistano finalmente il tempo per amarsi, ma forse qualcosa è cambiato. Dopo aver interpretato Tre volte dentro me degli Afterhours, una Mina sempre curiosa verso la scena alternativa duetta con Manuel Agnelli in questa ballata rock tenue, morbidamente erotica.
IL TUO ARREDAMENTO, da Maeba, 2018
Solo Mina poteva rendere credibile una canzone così, cubista, stranissima, in cui uno sviluppo armonico barocco e sofisticato si irradia in un arrangiamento metal e le liriche trascendono la seduzione amorosa in pirotecniche metafore da interior design di classe. L’autore è Zorama.