
Viceversa
da Viceversa, BMG Rights Management, 2020
Viceversa è un brano cruciale nel percorso di Francesco Gabbani. E lo stesso Gabbani rappresenta, nel quadro del pop italiano di fine anni Dieci, un caso anomalo: la sua affermazione è stata costruita esclusivamente di lanci sanremesi (Amen nel 2015 e Occidentali’s Karma nel 2016, una doppia vittoria da record), in un momento storico in cui Sanremo ha drasticamente ridotto la sua funzione di individuazione dei nuovi talenti e si è trasformato in certificato di credito principalmente per star da talent buttate in fretta e furia sul mercato.
Solo che la trasformazione in tormentone addirittura di fama europea di Occidentali’s Karma è diventata per Gabbani più una zavorra pericolosa che un’effettiva spinta verso l’accreditamento tra le nuove voci del “pop d’autore”. Tant’è che lo stesso Gabbani, subito a ridotto della partecipazione all’Eurovision 2016, si è premurato tempestivamente di dire “addio” alla famigerata coreografia della “scimmia che balla”, per scongiurare l’ipotesi di trasformarsi in una macchietta o, peggio, in una meteora. Anche perché l’artista carrarese, per quanto sempre in disinvolto equilibrio tra strizzatine d’occhio alla classifica e brani più intimisti, ha in realtà fatto capire presto di avere ambizioni compositive più alte, o comunque di ambire a una lettura del proprio universo più complessa di qualche hit con numeri da capogiro. L’ambiguità a suo modo spavalda di hit come Tra le granite e le granate o Pachidermi e pappagalli (adottata dal professor Carlo Cottarelli come “rappresentazione” di una sua personale visione del Paese in un omonimo libro) e soprattutto la partecipazione all’omaggio a Guccini Note di viaggio – Vol. 1 (con una cover sbarazzina di Quattro stracci) sembrano confermare questo intento.
Ecco perché dunque l’approdo a Sanremo 2020 è stato ragionato e calibrato, visto che del ritorno di Gabbani a Sanremo si parlava già nel 2019. Perché doveva marcare uno scarto, proporre una lettura del suo universo espressivo differente, imporre un altro Gabbani, riconoscibile e affabile ma drasticamente sottratto alla minaccia di essere “artista da tormentoni”. Istanza riuscitissima: Viceversa è il miglior brano mai scritto finora dal suo autore.
Viceversa è una sintesi calibratissima di istanze popolari, ricercatezza melodica, desiderio di cantare d’amore con parole comuni controbilanciato dalla pulsione a non scivolare nel banale, nella parola messa a riempitivo di un acuto forzato, o nei torrenti di parole accatastati senza alcuna attenzione alla musica che (chissà se per effetto della massiva diffusione del “pop rap” o suo malgrado) molte tracce anche di estrazione pop melodico stanno pericolosamente denotando negli ultimi anni.
Questo movimento lo spiega Gabbani stesso, per immagini, nel video della canzone basico ma efficace, in cui lascia parlare le espressioni del volto al posto delle parole. E poi le parole, appunto, sono firmate anche da Pacifico: il cesello del verso di uno e la cura maniacale per la melodia dell’altro mi sembrano mescolarsi molto bene insieme, come un pezzo tra i più leggeri di Samuele Bersani (la distanza tra un gioiello contemporaneo come En e Xanax e Viceversa è più breve di quel che sembra).
Viceversa è una canzone interamente costruita su un racconto pittoresco e descrittivo dell’equilibrio e della compensazione nelle relazioni, sul darsi che restituisce, sul rischiare che ripaga. Ha una visione fortemente paritaria dell’equilibrio di coppia – un altro elemento di modernità, rispetto a mille tracce pop in cui continua a prevalere la presenza di un maschio-driver o di una femmina-subente) – e soprattutto una lettura positiva del quotidiano amoroso, che però si nutre di immagini di credibile realismo e soprattutto rifugge da banalità da cartolina romanzesca. Anzi, a leggere certi versi senza il cantato, si resta colpiti dalla pulsione a porre domande e ad argomentare per cercare risposte, senza trovarne per forza, o trovandone due di cui esporre la contraddizione ontologica:
E detto questo che cosa ci resta
Dopo una vita al centro della festa?
Protagonisti e numeri uno
Invidiabili da tutti e indispensabili a nessuno
Madre che dice del padre
“Avrei voluto solo realizzare
Il mio ideale, una vita normale”
Ma l’amore di normale non ha neanche le parole
Parlano di pace e fanno la rivoluzione
Dittatori in testa e partigiani dentro al cuore
Non c’è soluzione che non sia l’accettazione
Di lasciarsi abbandonati all’emozione
Cioè: una piena coscienza del sogno d’amore che è destinato a scontrarsi con la realtà, con la lucidità di riconoscere il limite strutturale di ogni dichiarazione eterna, e allo stesso tempo non rinunciare alla possibilità di lanciarsi comunque nell’esperienza delle relazioni. Forse è anche a causa di questa linea “ideologica”, esposta in un momento storico in cui tutto sembra parteggiare per una concezione dei legami troppo faticosa perché li si voglia comunque tentare, che Viceversa ha colpito nel segno tanti – coppie e singoli – capaci di leggervi all’interno dettagli di dinamiche conosciute o temute, o di rispecchiare precisi momenti del proprio esistere in quanto esseri “amanti”.
Naturalmente tutto ciò non avrebbe l’effetto che ha avuto se la canzone non avesse una costruzione melodico-armonica pienamente sinergica rispetto al testo: il senso di una vita in due ondivaga e sbilanciata tra alti e bassi, tra sbandate e recuperi, è straordinariamente tradotto da una melodia irta di saliscendi, momenti intimi, crescite euforiche, su scale che si ripiegano su se stesse e che tornano sempre alla base: un motivetto contrappuntato da un fischiettare sornione che sembra scandire l’esistenza quotidiana con precisione infallibile.
A Gabbani manca da sempre e totalmente l’allure dell’artistoide irregolare, il dandismo di superficie di un Tommaso Paradiso, ma anche l’oppressione tormentata dell’impegno, della canzone “di contenuto” che serve a farsi sdoganare tra chi dice che cos’è “cool” e cosa è da sfigati. Ma se si parla di quel che il pop è – ritornelli che sorprendono, ricombinazioni di poche note in cerca dell’incastro che si insinua, che chiede di farsi riascoltare per poi non mollarti più – è, per me, un campione. Un campione scambiato per mediano che non sgomita per dichiararsi fuoriclasse. Forse resta sempre un po’ a rischio gigioneria nell’esecuzione – o forse, più che gigioneria, è una sua naturale inclinazione a sottolineare con la prossemica e con sorrisetti beffardi quel che canta, fino al punto in cui lui stesso sa che deve dosarsi, e infatti il brano a Sanremo è eseguito per metà al pianoforte, quasi a chiedere a se stesso di contenersi – ma Gabbani prova di essere uno dei più acuti autori pop in giro, uno tra i pochissimi che crede ancora nel potere primigenio di elementi combinati – l’armonia, la ricercatezza del fraseggio melodico – con cura e (apparente) semplicità.
“Se dovessimo spiegare in pochissime parole
Il complesso meccanismo che governa l’armonia del nostro amore”.
Appunto, se dovessimo farlo, potremmo usare tutti i trucchi possibili, tutte le parole di questo mondo, ma alla fine è soltanto una questione di dirsi con franchezza quel che vale: che tu mi fai stare bene quando io sto male, e viceversa. Niente di così complicato: e infatti il pubblico – che l’ha mantenuto al primo posto nel televoto per tutto Sanremo 2020 – l’ha capito alla perfezione.
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