
Conoscere gente sul treno
da Grand Master Mogol, Riotmaker Records, 2005
Negli anni zero la label udinese Riotmaker esplora la strada autodefinita del ‘pop sbagliato’: un crogiolo di suggestioni electro, dance, rap, indie e musica da videogame tutte inclinate smaccatamente verso un’idea molto sfrontata di musica popolare. Oggi è più difficile coglierne l’audacia, ma negli anni in cui nella scena indie il dominio delle chitarre e della cupezza generale sembra incontrovertibile, sono proprio le band e i progetti Riotmaker a fornire un’alternativa scintillante: Scuola Furano, Carnifull Trio, Fare $oldi, Ex Otago e soprattutto Amari.
Inizialmente Dariella, Pasta e Cero si cimentano con un hip hop in parte memore della lezione dei Casino Royale, che mescolano gradualmente con la folktronica, i cliché della 8-bit music e altre stramberie. Interessanti più come documento di un’esplorazione che come ascolti autosufficienti sono i due album Apotheke (Ondanomala, 2001) e Gamera (Riotmaker, 2003).
Poi, nel 2005, tutto diventa un ‘grande disegno’: Grand Master Mogol, un titolo brillantemente programmatico, recupera questo pulviscolo di ipotesi incanalandole in una sinfonia da scantinato in cui tracce dalla struttura sempre più vicina a un’idea “tradizionale” di canzone sono messe in comunicazione da sperimentazioni eclettiche e a volte disarmanti (come la notevole ghost track, che mette insieme Cluster e Chumbawamba).
Negli Amari risuonano Phoenix, 883, Notwist, Danceteria, Erlend Øye, Righeira, Talk Talk, Battisti-Panella e altri richiami che la scena indie codificherà in modo sistematico soltanto nel decennio successivo. A un ascolto più consapevole e a posteriori, l’album sorprende per quanto risuoni come un antenato di molte delle strade tentate con fortuna successivamente da artisti pur diversi tra loro come Coez, I Cani, Calcutta, Cosmo e Pop x, lambendo in un’unica opera ciascuno dei territori identitari di questi artisti.
Uno degli esiti più felici e forse più rappresentativi dell’operazione sincretica messa in piedi dall’intero album è il singolo Conoscere gente sul treno. La canzone combina un beat tra Human League e La notte vola di Lorella Cuccarini, mentre la componente armonica si arrotola su arpeggi in minore reminiscenti del sound dei Lali Puna, di grande influenza all’inizio degli anni Duemila soprattutto su chi tenta strade di incrocio tra indie ed elettronica. L’esito è un seducente ibrido di brano indie ‘ballabile’, introflesso e spensierato al contempo.
La dimensione ovattata del suono, esplosa nel ritornello strumentale per pura dancefloor casalinga, riflette il punto di vista del testo; l’atto di ‘conoscere gente’ in realtà è la mediazione di un rapporto con l’umanità in cui l’osservazione poetizzante dell’altro sul treno è un modo per evitare il contatto diretto, sublimando la propria incapacità di mescolarsi con la gente:
“Conoscere gente sul treno
può essere meglio che stringer la mano
a chi non si perde con facilità
nei vicoli stretti di un quartiere”.
Nella sezione rap del brano lo sguardo alienato verso il passeggero germina fino a diventare descrizione quasi letteraria e antica (“seduto sul vecchio velluto”, con il “profumo del portacenere evoca storie come fossero biscotti inzuppati nel thè”); tuttavia il compiacimento del sogno a occhi aperti tradisce il desiderio frustrato di contaminarsi concretamente con l’altro (“scottarsi senza tracce di ferita, aprire il lucchetto per un po’“), salvo risolversi in un finale immerso nell’indolenza:
“Gite scolastiche accompagnano la tristezza, finché non si scende alla prossima fermata”.
Il richiamo a una generazione rinchiusa in camera evoca un mood in largo anticipo rispetto a quel Theme from the Cameretta che Niccolò Contessa cristallizzerà in Il sorprendente album d’esordio de I Cani (2011), e in generale la prima parte della carriera di I Cani sembra attingere non poco ad alcune caratteristiche di Grand Master Mogol, specialmente nell’umore “rinchiuso” dell’espressione musicale. Ma la cameretta come limite massimo dello spazio vitale è una sottotraccia di tutto l’album degli Amari: in Bolognina Revolution si chiede “scusa se anche questa notte voglio stare a casa”; in Campo minato si intravede un domani in cui “arriverà anche per noi il momento di uscire la sera”, ma intanto ci si chiude in casa con stimoli di ogni tipo. Campo minato è una riflessione labirintica sugli ostacoli che minano il terreno comune della coppia, tra “vecchie mine seppellite” e dischi, libri e film come distrazioni potenziali, contro i quali si cade spesso e si deve ripartire sempre,“due passi in avanti ed un piede indietro”, con un pizzico di sfiducia in più. Il suo bel video in piano sequenza fu trasmesso spesso da Mtv Brand New, dando agli Amari una visibilità significativa (anche se temporanea).
Così dietro la leggerezza dance degli Amari queste canzoni diventano profetiche anche sul piano tematico, anticipando di qualche anno i valori della generazione ‘della cameretta’: i versi, in particolare, sembrano molto rappresentativi di una certa introflessione dentro l’a-socialità che segna la trasformazione della scena indie-alternativa di questi anni, parallela al progressivo fallimento della canzone alternativa “di impegno civile-politico”. Così la dinamica tematica di cui questo piccolo capolavoro indie degli anni Zero è documento imprescindibile rivive in perfetta sincronia nei suoni, che fanno di Grand Master Mogol un album di grande piacevolezza anche se quasi congelato in un suo spazio-tempo, rispetto al quale la stessa evoluzione musicale degli Amari sembrerà spesso agire più in contrapposizione che in evoluzione. Anche quando negli anni Dieci gli Amari approderanno a Bomba Dischi, l’etichetta simbolo del nuovo indie-it-pop, la proposta musicale della band sembrerà quasi “imprigionata” dal suo portato storico.
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