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Nel giro giusto

da Contatti, Universal, 2008

Dopo un lavoro “libero” come l’ambizioso Golia e Melchiorre (2004) e un disco in parte incerto come Sguardo contemporaneo (2006), inciampato nel tentativo di fotografare per la prima volta in modo diretto la società, la parabola di Bugo rischiava di essere giunto a un punto di stallo. L’originalità della sua scrittura era rimasta immutata, scissa tra eclettismi virati di acido e lampi accecanti di intimismo; tuttavia sembrava che ad essere entrato in crisi fosse proprio il rapporto con la supposta “commerciabilità” della sua proposta musicale. Come se, per un artista in fondo sempre granitico nel difendere il suo particolare mondo espressivo, l’incessante richiesta esterna di adeguarsi alle mode del momento e dimostrarsi capaci di centrare la canzone giusta nel momento giusto fosse diventato un fattore di insidia, verso cui rapportarsi con la consueta dose di surreale ironia e fiero scazzo poteva non essere più sufficiente a far sì che, effettivamente, Bugo fosse ancora nel giro giusto  della musica italiana che contava.

Da queste premesse e sempre con la certezza di non volersi prendere troppo sul serio nasce l’album Contatti e il singolo Nel giro giusto, ancora oggi probabilmente il successo di airplay più grande che Bugo abbia raggiunto, nonché una delle sue canzoni più trascinanti e divertenti.

Alla base di Contatti c’è uno dei cambi di regia musicale più sostanziali che abbia mai affrontato nella sua carriera. Un mutamento importantissimo, perché gli darà una sorta di chiave di accesso come metodo ai futuri nuovi cambi di rotta, per rigenerarsi senza perdere la propria identità. Contatti è prodotto da Stefano Fontana, cioè il dj milanese che dietro il moniker Stylophonic ha ideato un formidabile e possente sound a metà degli anni Zero, tra electro, house e una spruzzata di rock. Dopo aver centrato un paio di hit di contagioso successo (Pure Imagination), Fontana ha cominciato a mettere le mani sul pop italiano, con risultati spesso positivi: il remix di Tanto3 di Jovanotti, la produzione di Psychodelice di Meg e una versione spettacolare di La metro eccetera del Battisti di epoca Panella, per la voce di Max Pezzali, che pare proprio fornire l’ispirazione maggiore per il progetto per Bugo.

Pubblicato praticamente in contemporanea con l’album di Meg, Contatti è un condensato del meglio della scrittura di Bugo al quale è stata applicata una ferrea cura elettro-house. È un disco piacevolissimo e ancora efficace, nonostante il suo suono elettronico sia comprensibilmente passato di moda oggi. La produzione potenzia bassi e ritmiche senza snaturare l’identità-Bugatti: il singolo C’è crisi combina la “ballabilità” ritmica con l’inclinazione psichedelica dell’autore, mentre tracce come Love Boat lavorano proprio sul mai negato legame tra Bugo e il suo midollo battistiano, non più cercandolo dentro la nudità del lo-fì ma portandolo a galla nelle sue dinamiche elettroniche e massimaliste, puntando proprio ad album come La sposa occidentale o Cosa succederà alla ragazza?. 

Di un’operazione che non nasconde l’intento di rigenerare il sound di Bugo per metterlo alla prova dei mutamenti del gusto, è proprio Nel giro giusto che si prende in carico la responsabilità di sintetizzare i principi che l’hanno guidata. Perché sebbene è palese che il brano cerchi la classifica, è anche vero che la canzone è una parodia di come lo stesso sistema-musica percepisca l’artista-Bugo, come singolo ma persino come emblema di tutta una serie di figure “in cerca di visibilità”, forse implicitamente terrorizzate dal diventare subito obsolete, sparire dal radar, finire glorie del passato.

“Io devo uscire dalla mia alienazione
Ti chiedo se mi fai promozione”.

Il filtro che fa brillare il brano è nel suo muoversi sciolto nella consueta ambiguità “bugattiana” tra autenticità e strafottenza, costruendo una parodia dell’ossessione (milanese ma in fondo tutta italiana) per la smania di contatti. Il parassitismo di chi cerca accreditamento in un altro che gode di uno status più affermato (“Se frequento te / è la volta giusta che trovo uno spazio per me”) diventa anche l’immagine sferzante di un’Italietta appesa e dipendente dalle dinamiche di clientelismo. Allo stesso tempo il senso di scollamento dal giro giusto in Bugo è anche l’anticamera del terrore di un isolamento sociale che rischia di farsi psicosi interiore: l’essere tagliati fuori alimenta l’ossessione personale e la nevrosi, e la ricerca spasmodica di nuovi contatti serve a combattere l’irrefrenabile tensione al rimanere chiusi nella sicurezza inerme del proprio tinello, quello stesso tinello di cui Casalingo era un beffardo manifesto: “Ho bisogno di socializzare / di uscire dal mio guscio”.

Ovviamente la potenza del brano è nella sua ambiguità: per un momento in cui Bugo sembra parlare di sé al margine di un periodo discografico non roseo e con la minaccia della “sparizione” che incombe, ce n’è un altro in cui l’ipotesi di autobiografismo viene smentita e Bugo pare prendere per i fondelli proprio tutti i bisognosi a caccia di contatti, la disperazione dell’accattonaggio per le relazioni che conto, una disperata opportunità di visibilità in più. È la sua forza da sempre, e anche in questo caso l’arma segreta che renderà il brano una vera e propria hit, insieme naturalmente a un piglio ritmico appiccicoso fino alla nausea, un po’ techno e un po’ twist:

“Una buona parola per conoscere gli altri che

che mi sembrano sempre più felici di me”.

Altre schede di Bugo: “Casalingo” – “Che diritti ho su di te“?

 

 

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