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Il pagante adoro myss keta

Adoro feat. Myss Keta

da Paninaro 2.0, Believe, 2018

Presupposto: uso sempre precauzioni nei confronti di progetti social native come Il Pagante. Il dubbio riguarda sempre l’annosa questione sul punto di equilibrio in cui il gesto dissacratorio diventa l’oggetto stesso da dissacrare. Nel caso de Il Pagante, l’appropriazione spinta della semantica dell’Italia ‘imbruttita’ su cui è fondato il gruppo mi pare troppo spesso perdere forza proprio nel momento in cui essa si trasforma nello stesso linguaggio che sta adottando. È come se le brillanti intuizioni fossero condotte spesso attraverso una scorciatoia di convenienza, per accontentarsi di una piacioneria che si vorrebbe ostentare come ironica e che purtroppo si ferma lì, al circolo plastico della sua ripetizione. È la stessa dinamica che invece ha fatto finora la riuscita – almeno in termini creativi – di un progetto come quello di Myss Keta (e Motel Forlanini). Immersa in ammollo nella semantica della Milano anni Dieci in modo ancora più trascendente, Myss Keta è l’immagine speculare di Il Pagante, la Robyn dove quelli sembrano i Vengaboys, la Lindo Ferretti del presupposto nuovo edonismo meneghino, donna che conta anche se non canta (per citare la sua canzone scelta da noi come traccia dell’anno 2018).

Chiarito questo pre-giudizio, riconsidero tutto quel che ho scritto molto volentieri trovandomi spiazzato dal magnetismo su di me suscitato da Adoro, il brano (brano?) che mette insieme le due realtà e che riconduco per i suoi meriti soprattutto a una clamorosa e geniale visione di insieme proprio da parte de Il Pagante, più che alla partecipazione della donna che conta (che, dirò in seguito, mi pare quasi involuta). Adoro prende la materia della notte milanese anno 2018 e, invece che accontentarsi di una canzone, la trasforma in cinema documentario di matrice genialmente ambigua, dando a chi ascolta l’idea di essere totalmente ‘dentro’ l’humus che viene descritto e allo stesso tempo di mantenersi con i piedi saggiamente fuori dal cono ottico, alla distanza giusta per poterne ridere, provare disgusto o restare assorti (tre sensazioni che Adoro, oggettivamente, è in grado di suscitare con eguale vigore).

Dilatata per inverosimili cinque minuti e mezzo, Adoro è una non-canzone che usa la natura liquida della musica house e la metrica vocale del rap come fossero tasselli mobili e intercambiabili funzionali alla costruzione di un bioritmo stordito e ovattato, ansiogeno senza giustificato motivo, allusivo, euforico e inacidito. Il portale d’accesso è l’introduzione di Roberta Branchini, cruciale nel chiarire i presupposti sensoriali dell’ascolto:

“Sono tutta fatta, zio

Tutta fatta, tutta fatta, tutta fatta”,

con tanto di allitterazione tra le ‘tt’ che viene distorta lungo gli assi dettati dal beat fino a diventare emblema della modalità di utilizzo del brano. Da lì in avanti, la canzone diventa un esercizio di montaggio alternato tra i personaggi-simbolo di un’umanità variopinta, tutti emblematici e al contempo tutti secondari. L’alternanza tra le microsequenze è scandita soltanto da una ‘coda in Gintoneria’ (per i non milanesi, questa) che sembra non finire mai, con Eddy Veerus a scandire il tempo che passa con nevrotica piattezza: “Son le due siamo qua in Gintoneria / C’è la fila in bagno in Gintoneria”, e poi son le tre, e poi son le sei e lui è sempre in coda in bagno in Gintoneria, lungo un timing altrettanto emblematico di questo percorso nel degenero, in un gioco di sincopi ripetute in modo talmente ipnotico da restituire l’idea di un tempo che si allunga insopportabilmente su qualcosa che è brama del vuoto, fecale e degradato: l’agognato cesso, sempre più vicino eppure tenuto lontano da qualche stronzo che ha bisogno del piano per l’ennesima strisciata di bamba.

Tra queste pietre d’inciampo dell’eroismo metropolitano, ogni porzione di personaggio, ogni intervento diventa funzionale a evocare la grande anima urbana di Milano by night, la vera protagonista, orgogliosamente nelle vesti di capitale amorale d’Italia, luogo franco dove il sesso la libido la voglia di sforare i limiti non verranno mai messe in discussione da qualsiasi restaurazione culturale (almeno nell’idillio raccontato dagli artisti della sua scena). Questa descrizione corale ha il suo segreto proprio nell’apparente assenza di una struttura: ‘stupefatta’ nell’approccio, Adoro si riempie di personaggi che agiscono come ‘tipi’, sagome iconiche degli abitanti di questa ronde, dal maschio disposto a estenuanti file per entrare nel bagno del bar (per tirare di cocaina?) alla pupa con numerosa gang al seguito rigorosamente tutti in lista, in mezzo arisse mancate con il peperoncino spray, taxi che non rispondono, spagnole e giapponesi che si mettono in competizione con le italiane, viaggi nello space, piadine, salamelle, cocktail modificati.

Topografia urbana: la copertina di “Paninaro 2.0”, l’album di Il Pagante pubblicato alla fine del 2018

La canzone esiste solo come costellazione di segni, come paesaggio collettivo. Gli interventi dei singoli sono raccolti in barre brevi, quasi svogliate. Anche se “La noche è peligrosa / Non sto in piedi, ma sto in posa” è una tipica folgorazione linguistica à-la-Keta, l’anonima meneghina fa quella che guida senza mani, che si confonde con la scenografia. Più che un featuring d’eccezione, la sua presenza qui è soprattutto funzionale in chiave rappresentativa, di una topografia – quella della di Porta Venezia e delle sue ragazze – e soprattutto di uno spirito di cui la Milano dopo mezzanotte non ha voluto mai fare a meno: quello gay. Se Adoro è un documentario sulla notte di Milano, documenta dunque straordinariamente bene l’osmosi totale con la sua anima gay, capace di permeare capillarmente LE SUE abitudini e ridisegnarne i confini (e mica da oggi, ma da sempre: chi erano in fondo “i ragazzi tutti eccitati” della “notte cattiva” della bertiana sera che piove?). Così Adoro, interiezione gay per eccellenza, detta così, senza complemento oggetto, è la mot de passe capace di attivare magicamente un festival di segni etero e omo che si scambiano i ruoli e si frullano tra loro, per ritrovarsi ibridi inediti, liquidi nell’identità, fieramente post (che il video del brano rafforza lavorando su corporeità di confine, dalle mistress in harness e frustino all’estetica transgender incarnata dalle figure straight).

Intrecciato all’asse verticale legato al gender, la canzone costruisce un reticolo topografico altrettanto identitario. Tra un quasi-verso e l’altro, compaiono gli skit delle due Paganti Branchini e Federica Napoli insieme a quelli di altri personaggi le quali documentano, da un capo all’altro della città e con pregiatissimi linguismi, a che punto è la notte: “Forza puttanella, bastarda infame di merda / Voglio, voglio le verdurine grigliate / Solo con l’olio e il sale”, “Situazione malsana ragazzi / Venitemi a prendere subito”, “Sono ubriaca come le merde” eccetera. È un espediente narrativo grezzo ma perfetto nel costruire il racconto documentario complessivo, poiché si fa indice sensoriale della frammentazione dell’esperienza: la notte che riemerge in pezzi sconnessi, solitamente associati alle imprese più radicali compiute, o al livello di sfascio personale più forte che si sia in grado di dimostrare.

Questo iperrealismo è il tocco di grazia – una grazia sudicia come le mani unte da un panino con la salamella, ma grazia è – dell’intera canzone, perché fa vivere un sistema di senso al di là della presenza/assenza dei suoi autori: si può restare inorriditi o cavalcarne la sfattanza con fierezza, ma è piuttosto oggettivo che Adoro, per com’è millimetricamente progettata, riesca a elevarsi a sequenza di potenza visiva notevole (e va a finire che si sogna quasi che sia Il Pagante che Myss Keta lavorino sempre con questa ambizione, per evitare il rischio di cadere nel cliché, piuttosto elevato con progetti della loro natura).

Si va avanti così in una struttura circolare, ossessiva e talmente ripetitiva da causare assuefazione, come restare incantati ad ascoltare per ore le trasmissioni delle radio a circuito chiuso trasmesse dalle automobili dei poliziotti che fanno il turno di notte (per chi vuole testare il magnetismo di questo tipo di ascolto, esiste l’incredibile webradio youarelistening.to). Con un colpo di genio finale, che fa comparire davvero la polizia, personaggio che ha agito finora da anima fantasma, mai citato ma rievocato costantemente, e che ruba la scena nella sequenza finale: il sequestro della macchina (di Alfredo DjZona, altra maschera della noche milanesa).

Una chiusura alla Guy Ritchie, grottesca, senza enfasi né redenzione, né tantomeno rilascio delle energie, di quelle che uno come Cosmo infonde poi in Un lunedì di festa dopo aver tirato dritto fino a sfasciare il locale. No, in Adoro la notte è meta-urbana, reticolare, una distorsione del concetto di distorsione fino al punto in cui il movimento diventa la stessa sostanza e la materia di partenza – cioè i contenuti, la serata in sé, che cosa siamo andati a fare concretamente in un certo posto – è eternamente secondaria. Milano oggi, oscena, orribile, adorabile, adorata, adoro, adoro, adoro.

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