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copertina edda fru fru

Italia Gay

da Fru fru, Woodworm, 2019

Fru fru, e il suono dell’espressione stessa lo suggerisce, è qualcosa di più che leggerezza. È frivolezza, civetteria, è seduzione un po’ giocherellona. “Fru fru” è Edda oggi, giunto al culmine di una trasformazione, un artista che ha portato dentro la sua musica l’ebbrezza più unica che rara di una rinascita dopo uno sprofondamento totale. Passata la fase del vulnus scoperto che diventa espressione artistica stessa, oggi la musica di Edda sprigiona una luce inedita: nelle canzoni di Fru fru sono pienamente riconoscibili gli elementi ricorrenti della sua scrittura, persino portati all’eccesso, ma incanalati in un solco sorprendentemente luminoso, pervasi di una goduria che lascia a tratti storditi.

Inoltre Fru fru è un disco-disco, nel senso che, al di là delle sue varie ibridazioni con il rock, il punk, la new wave, gli Strokes, l’elettronica ‘suonata al 100%’ dei Daft Punk di Random Access Memories, la disco funge da matrice portante, da ispirazione contagiosa nei riff, nelle ritmiche e persino nelle armonie: una canzone come Thesoldati, ad esempio, punta agli MGMT per armonizzare alla Roby Facchinetti di Viva, ma pure E se allora emana sentori tra Umberto Tozzi e Alan Sorrenti. La traccia la dava Un pensiero d’amore, la canzone più strana e ‘contestata’ da una certa frangia di fan della prima da Graziosa utopia, l’album della struggente Spaziale, proprio perché inspiegabilmente ‘Abba’. Riascoltata oggi dopo aver preso contatto con Fru fru, quella canzone sembra persino troppo ‘interiore’: Fru fru al confronto è gioco puro, gustosamente a un filo dal pretestuoso.

Insieme all’esplicitazione della dimensione ludica nella parte musicale, anche i testi spingono ancora più del passato sulla carnalità (anche inter familias) e sul sesso in generale, onnipresente, felicemente portato nel mezzo di ogni situazione, anche all’improvviso, senza un motivo del tutto spiegabile. È un canzone sessuale umorale, sudicia e molto anale, che Edda sembra cantare con una gioia e una forma di partecipazione mai così fiera e naturale, specie se si considera che fino a Graziosa utopia ogni abbaglio di presenza del sesso era quasi sempre controbilanciata dal terrore dello stesso, da una presa di distanza cautelativa.

Il trionfo massimo di questa inclinazione inedita di Edda è Italia Gay, che ha il ritmo di Ballo ballo (davvero) di Raffaella Carrà e l’allure del migliore Ivan Cattaneo dei primi anni Ottanta, tra Polisex (nei temi) e Italian Graffiati (nello spirito musicale). La canzone è di semplicità inaudita e forse anche per questo contagiosa: partendo dall’immagine di una bella donna che si sente intimorita a mostrare le proprie qualità corporali, Edda prende spunto per auspicare una rivoluzione dei costumi sessuali immediata e genuina , nella convinzione (persino infantile) che un’Italia tutta gay contagerebbe tutti a una libido più libera, a un’oscenità serena (“dritto e scuro / sbattimi al muro”, per dire del tono immaginato).

Potrà far inorridire chi è ancora stregato dall’Edda senza difese di Semper biot o di Pater (ma perché mai inorridire, su!), ma quello di Italia Gay è comunque Edda all’ennesima potenza: candido senza alcun contegno, con la consueta fiducia cosmica nell’amore e nello scambio reciproco. E, naturalmente, talmente indifeso da potersi permettere una sorta di paradossale ironia: nell’invito, quasi fosse un ‘party’, a far partecipare a questo momento evolutivo le persone gay con le quali ciascuno può potenzialmente essere in contatto (“tu porta i tuoi che ti presento i miei”), così come nel richiamo onnipresente in tutto il disco al pop italiano più tradizionale, trasfigurato nel significato attraverso un gioco di suoni al confine con il nonsense: “Un’ora sola ti vorrei / Un’ora sola, un’oransoda, un’ora sola”. Se non fossimo certi della trasparenza delle intenzioni di Edda, Italia Gay apparirebbe talmente accorata nella sua partecipazione da lasciare il dubbio che si tratti di un colossale paraculo. Chissà: certo Edda così poco profondo lo è stato davvero raramente nella sua discografia, ma che gioia è vederlo trainato da questi umori, far la sciocchina così, come fosse a un Pride.

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