
Non ci sarò
da Inexorable, Vrec, 2019
Inexorable, quarto lavoro di Giulio Casale, ex leader degli Estra, non è tutto inedito, almeno formalmente. Cinque delle undici canzoni che lo compongono, infatti, erano apparse nell’Ep Cinque anni, del 2017. La ripresa di questi pezzi non è puro espediente discografico bensì segue una progettualità artistica ben precisa. Una dimostrazione tra le varie la fornisce ad esempio “Resto io”, che apriva Cinque anni nella forma di una dedica a Paolo Benvegnù, e che invece in Inexorable diventa il brano di chiusura, acquistando il valore di un dialogo con se stesso dell’artista-Casale, che osserva con una certa fierezza il suo carico di idee artistiche ancora valide, nonostante il disinteresse contagioso del gusto popolare per la canzone d’autore, sullo sfondo dell’oblio precario della discografia realmente indipendente: “Comunque resto io / in bilico tra rabbia forza tenerezza / di certo sono qui / sopravvissuto agli anni zero-dieci / si sono presi gioco di me / embè”.
Tra brani che guardano con affetto a un’idea di canzone rock oggi quasi antica (“Roger Trip Advice”) e altri articolati su direzioni indecifrabili, colpisce lo space-rock a filigrana teatrale di “Non ci sarò”. Artigliata a una ritmica sostenuta e incessante, con qualche reminiscenza tardo-bowiana (alla “Sue”, nella sua ripresa in Blackstar), “Non ci sarò” alterna strofe tipicamente in versi recitati a un ritornello più melodico, che modula la già complessa armonia della strofa di un tono e mezzo più in alto. L’effetto è come di scagliare il tutto in una galassia lontana, tra distorsioni multiple e pesi sapientemente sospesi. L’umore ‘stellare’ ricreato è funzionale al gesto evocato dai versi, in cui lui annuncia con enfasi la propria dipartita visualizzando le conseguenze dell’azione. “Quando me ne andrò / rimetterai ogni cose in prospettiva / e cercherai tra le mie poche lettere / quel dettaglio che non sai capire / quell’amaro lì da deglutire”: nella dichiarazione c’è la richiesta di un’attenzione, il rammarico per una comprensione mancata, per “gesti e carezze” che sono stati omessi. Più che egomaniaco, questo vedersi parzialmente rimpianto suona come una ferita ancora aperta, celata dietro un sottile sarcasmo (“che attore!”) e compensata dal desiderio di alleggerirsi per librarsi “in volo”. “Non ci sarò”, pertanto, è una promessa, a se stesso più che alla ex metà ormai distante: ecco perché deve prendersi il tempo opportuno per essere ripetuta, come un mantra, un’operazione di autoconvincimento, mentre si disperde sullo sfondo di una splendida coda strumentale a tempo dimezzato, in un turbinio di echi sovrapposti e distorsioni che riemergono da luoghi lontani, come un addio solitario.