
Supercinema
Uscito sul finire del 2018 Ad ogni buca, quinto album del bergamasco Caso, nome d’arte di Andrea Casali, è anche il suo più denso e ricco di spunti. Chi lo segue da anni vi ritroverà il consueto taglio introverso e paranarrativo, l’abilità nel chiudere, all’interno delle canzoni, vicende articolate, spesso autosufficienti. Però mai come rispetto ai lavori precedenti la voce qui va oltre l’accumulo di dettagli e l’affastellamento di parole, dedicando un’attenzione inedita al canto come atto puro, sollevando la melodia da una certa soggezione stilistica. Il risultato finale è struggente, e dà l’impressione di trovarsi davanti alla versione più vicina alla verità del suo autore, a un lavoro-specchio.
“Supercinema”, che chiude Ad ogni buca, ne è anche il climax. Una lunga canzone che si inserisce nel ristretto ma glorioso filone delle canzoni a tema cinematografico, da “Al cinema” di Lucio Battisti a “Ombre e luce” di Ivano Fossati, proponendone un’interpretazione raramente così drammatica. In “Supercinema” il narratore veste il ruolo di gestore di una sala cinematografica nella quale ogni sera, come un’ossessione insanabile, viene proiettato il film della sua storia d’amore terminata malamente (l’ultima mezzora del film-relazione, per dire, è completamente senza dialoghi). La descrizione della sequenza e quella della relazione intrecciano i reciproci piani: così l’abbandonato e afflitto Caso si ritrova a riconoscere la pessima sceneggiatura dell’opera, a scoprirsi attore secondario, personaggio qualunque (come un cinema qualunque, certo non d’essai), spesso fuori fuoco; allo stesso modo, questa sala dà l’impressione di stare decadendo irreversibilmente, tra poster che si staccano dalle pareti, oggetti dimenticati e un generale senso di polveroso e stantio, di morente.
L’abilità descrittiva è straordinaria, così come lo è la capacità di utilizzare il vocabolario tipico del cinematografaro di nicchia, compiacendolo e allo stesso tempo parodiandone i vezzi (lui si sente “così distante da tutta quella gente che dice “bella la fotografia / Senza capirci niente”). Pur tesa da un senso di strazio che pare autentico, la voce fa ruotare la linea melodica senza il timore di toccare l’afflizione come la tenerezza, come fosse talmente a terra da essere libera. Di arrivare agli attesi titoli di coda, sfumati su una sequenza esclusivamente musicale, come la speranza di una liberazione definitiva: “Fine della storia, fine del piano-sequenza”.
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