
D’ali
da Dali, Ribéss Records, 2018
Ai pochi rimasti in giro cultori della ‘scelta musicale non etero-manipolata’, agli avventurieri del suono numericamente irrilevanti rifugiati in certe appendici della Penisola che non comunicano più con il ‘gusto dominante’, consiglio con vivissima insistenza di cercare e scoprire Aldo Becca: autore, musicista e costruttore di paesaggi sonori guidati da un’idea ‘pura’ di espressione musicale, intrecciata indissolubilmente con la poesia. Il suo ultimo Dalì è uno scrigno di rara sensibilità, un itinerario interiore tra infanzia e età adulta, un tributo al perseguimento della poesia ad ogni costo, nella coscienza della sua marginalità nel tempo contemporaneo. Becca si muove tra lagune elettroacustiche e field recordings brumosi, come brulicanti di esserini invisibili, interrotte solo parzialmente da canzoni-non-canzoni, strofe perfette che si sfaldano nel momento perfetto per impennrsi (“Il mare, una pozzanghera”), versi ripetuti in maniera ipnotica, scudi di folk acustico riecheggianti della propria storia, pause ambient e persino nostalgie catto-sixties (“Chiave di volta” sembra un Symbolum). Si confluisce e ci si trasforma e si diventa altro, in onda omogenea di sonorità ‘organiche’, nelle quali ologrammi vividi dell’infanzia, di una tenerezza sconcertante (“Vai con la poesia”) non riescono a coprire del tutto squarci di turbamento dell’età adulta, pervasi dalla solitudine (una dinamica speculare rispetto a ciò che si sente nella musica di un altro ‘invisibile’ del cantautorato indipendente italiano come Paolo Saporiti, dove in quest’ultimo il tormento è la componente dominante).
Difficile isolare un brano tra tutti: la natura di ‘opera complessa’ è ravvivata persino dal formato – una scatola in carta di pregio con l’album su una chiavetta usb e altro materiale visivo-tattile. Però ecco, dovendo identificare una summa di tutto, scegliamo “D’ali”, una quasi-title-track, con l’apostrofo a stuzzicare altre semantiche: su un incedere di lentezza quasi liturgica, riempito da un bordone che risplende di luce argentea (come certi istanti dell’E già battistiano) e sostenuto da un beat elettronico minimo e terrestre, Becca semina i suoi pochi versi, essenziali versi:
Se esiste
ora lo sai
non è un fiore che
possa portarti
o appassirà
se esisti tu
ora non so
ma sembra dirlo
qualcosa che ho dentro
che non muore mai
Tenue interrogazione all’altro soprannaturale, sospesa tra il dubbio e la speranza, “D’ali” è una canzone tenuta sospesa al di sopra delle nuvole da una linea melodica che ha l’ariosità di una preghiera e l’energia tutta umana per salire di ottave gradualmente, secondo una logica quasi matematica. Una traiettoria bellissima ed eterea, culmine di un lavoro di rara suggestione.