
La crème (feat. Sxrrxwland)
da Omnia, La Tempesta, 2018
Ho la sensazione che l’attenzione mediatica riservata a Omnia sia stata meno eclatante di quel che ci si poteva attendere, magari perché pubblicato in un periodo come fine anno, tradizionalmente più dedicato ai bilanci che alle scoperte. Eppure il nuovo lavoro del producer romano è un caleidoscopio sintetico di ricchezza davvero esorbitante, un lavoro dal respiro molto ampio e dalla visione generosa, talmente debordante da frastornare, che si muove tra i sottogeneri dell’elettronica contemporanea con la scioltezza e il fegato di chi non teme di sembrare mai a disagio con i ferri specifici di un linguaggio. Che si tratti di massimalismo chiassoso (“Fantino”), di latinismi fieramente pacchiani (“Mr Don Papa Boss”) o di IDM iniettata di ossessioni chimiche (“Ex Prodigio”), questi abbondanti e roventi 74 minuti – durata da tempi del boom del Cd – conservano una pasta acustica piuttosto coerente: ci si muove nello scheletro di una cattedrale il più possibile anti-melodica, vorace sul piano ritmico e gelida su quello emotivo, riscaldata da un’estetica sul orgogliosamente eccessiva eppure invasa da una malinconia incurabile (un disco “emo-zarro”, scrive Soundwall). Tutte le tracce conservano residui di una vocalità triturata, distorta e accelerata, nella forma di frammenti che emanano significati misteriosi, e comunque ipnotici (vedi la drammatica esplosione di particelle di “Mandria”, con tutti quei ‘a bailar’, ‘arriba’ e ‘a gozar’ che paiono le scorie ancora cariche di radioattività dei nostri primi anni Duemila).
Determinante, in questo flusso sinusoidale, è il distico realizzato insieme ai Sxrrxwland di Vipra e Osore, “La crème” e “Asinine”. Se la seconda è una specie di fantasia onirica sull’idea di cumbia che potrebbe avere un Daniel Lopatin, pervasa da residui melodici talmente flebili da sembrare solo connessioni digitali, la prima è l’unica ‘canzone’ del disco a tutti gli effetti, ed è forse quella che resta più in testa, che distanzia prima e seduce. A renderla magnetica non è tanto la linea melodica del flow in tempi ternari di Vipra, gustosa ma canonica, ma la sfida che ingaggia con il resto, il suo rapporto dialettico con la ritmica di Capibara: una matrice house volutamente quadrata e martellante, incapace di mantenere una posizione costante per più di 8 battute, piuttosto nervosamente guidata da un desiderio di comparire e scomparire, coprire tutto lo spettro sonoro a disposizione e fermarsi all’improvviso, sballottare l’umore generale tra un’inquietudine ansiogena come tratto dominante e fughe simil ambient troppo brevi per calmare gli animi (quel fantasma di melodia sullo sfondo a 2’02’’, che cos’è?). È come se “La crème” fosse la trasposizione di una lotta intestina tutta interna al genere, tra la voce in autotune che di default dovrebbe avere il cerino del brano e il producer che si affanna per sovrastarlo, stargli dietro, farsi notare pur facendo finta di non farlo. È come se oggi, osservando lo zenit commerciale della trap, Capibara si fosse interrogato sul ruolo stesso del produttore, sulla contraddizione in essere del suo dover supportare il trapper e allo stesso tempo cercare di marcare elementi di personalità, fino al punto di prorompere senza controllo, nel nome di un non accontentarsi della superficie della proposta, del voler rovistare finché si può, accettando la soluzione più facile, rinunciando al sacro tormento di chi, comunque, crea l’arte: “Dove il fondo non lo vedo / Perché è tutto nero / Crema / la crema / la crema / vogliono solo la crema”.