
Xananas
M¥SS KETA fa qualcosa che non ha eguali, in Italia, quale che sia il genere musicale su cui si sposti lo sguardo. Esibendo con orgoglio la natura artefatta del suo linguaggio, cristallizzata da quella sorta di burqa glam che si è scelta come simulacro, l’artista mascherata agita e smuove una serie di semantiche ancora formalmente tabù nel nostro Paese portandole in territori formalmente non pronte ad accoglierle ma nei fatti già ben attrezzate.
Prima di “Xananas”, le sue canzoni hanno viaggiato per qualche anno sul confine tra azione artistica estemporanea e ‘fenomeno del web’. La parte musicale, sostanzialmente, non è quasi mai stata considerata determinante nel suo mondo espressivo (a torto). Il mixtape L’angelo con l’occhiale da sera tuttavia ha fatto notare che le ambizioni erano concrete e andavano ben oltre l’eccentricità del momento, specialmente per quel che poteva lasciare intendere un pezzo conturbante e in parte enigmatico come Musica elettronica.
Poi è arrivato “Xananas”, scelto come pezzo di punta dell’Ep Carpaccio ghiacciato, pubblicato per La Tempesta Dischi: l’etichetta di Enrico Molteni è stata una scelta di peso per trasportare il progetto verso un livello discografico più strutturato, che garantisse l’autonomia del personaggio, punto cruciale da non scalfire di un centimetro, e però al contempo testare la sua credibilità nel contesto musicale in rapida trasformazione. Propizio, in questo senso, è l’incontro con Populous: l’artista e producer salentino da poco reduce dal trip lusitano di Azulejos, fascinosissimo e suadente, si è rivelato una scelta di grande fertilità per far da tappeto alla ragazza di Porta Venezia.
La ritmica di “Xananas” è, in buona sostanza, un proseguimento degli esperim enti di cumbia elettronica testati in Azulejos, dilatati e distorti attraverso uno sguardo fortemente sintetico, coerente con l’umore ‘farmacologico’ del brano. Il risultato è che la canzone sembra muoversi dentro una nube alterata, prodotto di un incrocio esplosivo tra il culto dello psicofarmaco oltre la presunta necessità, il sesso digitale, i manuali d’uso delle nuove droghe sintetiche, una sensualità lasciva al confine con il mercimonio.
“Ascolta ti metto in cc
Che fra poco ti mando il mio brief
Il mio concept è GHB
Sedativi in full HD
Lunedì fino a venerdì
Lexotan è il downer più chic
C’è Franchino nel mio TBT
Zio il mio Insta è pure TNT”
È una festa degli acronimi che svolgono il ruolo di password semi-segrete per accedere ai livelli nascosti (non solo notturni) della vita nella metropoli che però la cultura dominante deve ancora moralisticamente ostracizzare: è qui che M¥SS KETA, con grande astuzia, interviene a veicolare questi immaginari con toni suadenti e confortevoli, che in qualche modo suonano familiari all’Italia post Berlusconiana. “Xananas”, ad esempio, è un tripudio di brezze marine, vetrate con vista panoramica, unguenti e creme dai nomi esotici, cristallizzati nella grande bolla dello smart working nella Milano dei grattacieli e dei panorami verticali, non a caso altamente chimica (“Ho fissato un meeting alle otto / Daje ‘sta volta famo il botto”).
Alla fine con M¥SS KETA va così: il radicalismo edonista lascia trasparire in filigrana un disagio disturbante, comunicato con un’autenticità e un gustoso spirito ironico talmente naturale da lasciare basiti per la sua ‘verità’. In mezzo a questa orgia di disturbi, M¥SS KETA si ritaglia fiera il ruolo di maîtresse, la cui audacia è, per adesso, assolutamente incontrastata, e la cui autoreferenzialità esibita è fiera parte del processo semantico, indispensabile per lasciare che l’adulazione faccia il suo corso: “Sono la gran contessa / Arciduchessa, sacerdotessa / Controversa, compromessa / La prima donna a dire la messa”.