
Schifo e sciroppo: appunti sul concerto del Primo Maggio 2018
Pensieri disordinati sul concerto del Primo Maggio 2018 a Roma (un anno fa del concertone scrivevo così, proprio mentre Unadimille veniva alla luce, dopo una lunga gestazione: ogni blog è un figlio del lavoro, tutto sommato).
Red Ronnie. A Roma in una decina d’ore ho contato alla fine circa un centinaio di canzoni eseguite. Al netto di classici del millennio precedente, sempre utilissimi per un gradito singalong (vedi “Dedicato a te”), si potrebbe discutere della volatilità di molte di queste tracce, comprese quelle che oggi sembrano inni generazionali. Non lo farò, almeno non qui. Mi limiterò a svelare una fantasia: sogno tra 15/20 anni un remake di Una rotonda sul mare di Red Ronnie, con ancora Red Ronnie al timone, con meteore dell’itpop, epigoni di epigoni di Calcutta, indecifrati fenomeni slowcore dai nomi fortuiti, pronti a sfidare imbolsiti trapper passati alla storia per un numero uno nella classifica liquida del non venduto e poi scomparsi nel giro di qualche mese, questo per dire quanto inconsistenti siano tante delle canzoni che erano in scaletta, che se uno guarda con attenzione, hanno già dentro il seme dell’obsolescenza, programmato o spontaneamente parte del loro Dna. E comunque la seconda edizione di Una rotonda sul mare la vinse Patty Pravo e fu una bomba.
Ci vuole un fisico comunque. Si può discutere certamente anche delle qualità tecniche esibite da diversi artisti in scaletta, in alcuni casi al di sotto del minimo sindacale, che però un po’ è l’effetto della diretta tv, un po’ in fondo è cosa nota e accettata nel pubblico che questi artisti va seguendo con un’adesione che era tempo che non la ricordavamo così, e perciò si tratta di un falso problema, in fondo. Non infierirò sugli esponenti di una label indie in potente ascesa, i cui componenti fanno sfoggio di uno scazzo vocale mascherato da voluto tedio interpretativo; mi limiterei a suggerire però che uno come Cosmo, che universalmente rappresenta una testa di serie di questo momento del pop italiano e che ha gli strumenti per lasciare un segno indelebile, tanto trascinante e rara è l’energia che emana, potrebbe tentare di curare un momento in più la parte vocale della performance, che è un peccato sia da riconoscere come un punto debole. La vecchia scusa che nei live la tecnica è secondaria se c’è il fuoco non è più ammissibile quando si comincia a mangiare alla tavola dei grandi: del resto Jovanotti, congenitamente non dotato di chissà quale voce, in termini di fiato e res
pirazione è un calcolatore seriale, vero maestro.
Schifo e Cremonini. Fatti i distinguo, però, è difficile non osservare che quello che ieri si è visto a Roma sul palco del Concertone è platealmente una fotografia rappresentativa di quello che oggi si intende non con musica italiana tutta ma con pop. Quasi sempre sganciato da dirette intenzioni sociali, e meno che mai politiche, questo pop è semmai tutto riverso nelle ambizioni di un individualismo che però non si esprime in termini di sopruso o concorrenza ma di puro riscatto dal disagio, dall’infamia dell’inedia contemporanea. Nel mezzo dell’omaggio agli Skiantos, Aimone Romizi dei Fast Animals and Slow Kids ha pontificato verso il pubblico: “Fare schifo è un imperativo morale”. È una frase identificativa di ciò che è fieramente eroico oggi, cristallizzato dai momenti migliori della scaletta: cosa non è in fondo il ruspante stage diving con caduta grossolana di Cosmo, sequenza formidabilmente riducibile a meme, se non ricerca dello schifo e del godimento nel poterlo ridicolizzare, con il suo unico carico di rivendicata sfiga e ribellismo a dilatazione prolungata (Cosmo, che amo, ha 36 anni, e questo è un dato)? E che dire del set perfettamente sgarrupato de Lo Stato Sociale, certificazione definitiva della peculiarità di questa band, l’unica in grado di riunire ‘i temi’ con ‘lo spirito’ musicale dei tempi, di sembrare cialtronesca e comunque credibile, di apparire subdola e pretestuosa e insieme talmente intelligente da sfruttare l’inedita posizione di headliner assoluti per portare a galla in venti minuti tutte le personalità del gruppo? Perché è vero che tutti ne Lo Stato Sociale cantano da schifo, ma Lodo fa più schifo degli altri e in fondo “Niente di speciale” con Carota al pianoforte è un momento di un’intensità che spiazza (oltre a ribadire che è Cesare Cremonini il santino sul cruscotto di questa generazione di artisti).
Rolex veri e sciroppo. E poi c’è il set di Sfera Ebbasta, un unico flusso omogeneo nell’archetipo della trap a uso popolare in Italia, un invito al disprezzo del pubblico ‘impegnato’ ricercato e provocato con sapienza, in fondo anche facile da ottenere, per com’è stato proposto: scintillante come una trappola per corvi, con tanto di doppio rolex ai polsi rivendicato con fierezza, nel caso non si fosse notato, pochi minuti dopo.
https://twitter.com/sferaebbasta/status/991420527414857729
Un finger food dello schifo servito con guanti di velluto a chi proprio non se lo spiega che tutti, ma proprio tutti, possano cantare una canzone come “Sciroppo”, DIO, “Sciroppo cade basso come l’MD, io non cado basso sono ancora in piedi”: raffinata similitudine tra la propria resilienza e la capacità di scioglimento delle droghe chimiche, proposta nella primissima serata dei sindacati istituzionali, gli stessi che per anni hanno usato l’ascia contro l’incursione al concertone dei presunti valori barbari dell’hip hop, vedi l’estromissione storica di Fabri Fibra, praticamente la più grande occasione persa per fare un governo di coalizione, o il diktat ancora attuale contro Gué Pequeno, uno che meriterebbe il trono di Gianna Nannini per il ritratto pre-sorrentiniano che ha dato di questi anni. Il condono al rap, invece, è concesso a Gemitaiz e Sfera e allo sguaiatissimo e marceloburloniano Achille Lauro (il mio preferito di sempre), non si capisce bene a quale titolo se non, diciamola in questo modo, quello dell’urgenza di svecchiare il tutto, di attirare gli under 21 come carta moschicida (illudendosi di capire il loro linguaggio), di allargare improvvisamente le maglie di fronte alla classifica che dice chi conta e chi no e comunque, simbolicamente, sta facendo fuori rapidamente un sacco di ex nuove proposte (e no, non sto parlando di musica, in questo caso). Va bene così, ben vengano tutti, se serve a togliere un po’ di polvere al corteo storico, o se serve a illudersi che l’età media del corteo sarà realmente abbassata, che al corteo ci saranno anche i minorenni. Però resti almeno l’onestà intellettuale di convenire sulla monotonia del set di Sfera a confronto, per dire, con l’energia brutale di uno come Nitro, esiliato nei set pomeridiani come un backliner, ma certamente il più dotato degli artisti in quota rap visti ieri (e anche quello politicamente più interessante).
Vietato tarantolare. Alla fine è stato uno spettacolo spurgato di ogni fricchettonismo, ogni residuo di musica-che-si-può-ipotizzare-essere-troppo-di-sinistra, salvo l’accezione pseudo-situazionista condivisa da Lo Stato Sociale, e pertanto accreditata. Altro che trap, autotune e Galeffi vari: l’unica vera rivoluzione di questo Primo Maggio è stato l’avverarsi del tremendo diktat imposto dall’ormai paradigmatica canzone degli Elii sul Primo Maggio: una parodia ipercitata che, penso, ha fatto più danni che riflessioni, perché ha autorizzato chiunque a sentirsi libero di ritenere vetusta la musica folk, come fosse tutta una goranbregovicciata o peggio una taranta qualsiasi, e peccato che la musica folk non un genere che passa e va, ma piuttosto un ambito semantico, che esiste e resiste al di là dei generi, peraltro uno dei luoghi in cui si sperimenta di più in assoluto, in certi casi di una modernità sconcertante (senza tirare fuori ogni volta Alfio Antico, basterebbe ascoltare l’ultimo lavoro del Canzoniere Grecanico Salentino per capire che cosa intendo, per dire di un gruppo che poteva esserci ieri a San Giovanni e non c’era; e se ci fosse stato avrebbe indirettamente autorizzato le accuse ignobili di fricchettonismo ad oltranza di cui sopra, per restare nel range del gentile, e allora diciamo pure quello che vogliamo sulla necessità di svecchiare ma questo repulisti improvviso, francamente, lo trovo inelegante).
Poi è vero che nel bel mezzo della prima serata ci sono stati dieci minuti molto folk, quelli in cui la Carmen nazionale è passata dai successi d’ordinanza, di obbligatoria esecuzione, all’accoppiata “Tano” e “’A Finestra”, e qui si è come trasfigurata, come fosse stata pervasa di un’energia mostruosa, che l’ha fatta sembrare una specie protetta. L’effetto di questa magia l’ha descritto, penso meglio di chiunque altro, il buon Mario Venuti:
Nel complesso, non parlerei di ere glaciali o rivoluzioni. Il concertone, come sempre, ha proposto un programma bilanciato tra il desiderio di toccare i gusti più disparati con ciò che il mercato metteva a disposizione in quel preciso momento. Se è sembrato finalmente fresco, ritmato e piacevole, è perché o chi si è esibito non l’ha fatto come routine ma ha investito la performance di intensità (vedi Ermal Meta, che il seguace tipo dell’itpop tende a schifare ma che ha confermato il suo spessore nella dimensione live) o perché, più semplicemente, il cast è stato – passatemi il termine – targettizzato in modo estremamente preciso, falciando molto a sinistra e colpendo nel mezzo e a destra poco ma con estrema precisione. Basta confrontare la scaletta di quest’anno con quella del 2014:
Ad esempio, quella del 2014: Agricantus, Alberto Bertoli, Bandabardò, Brunori Sas, Enrico Capuano Tammuriata Rock, Clementino, Crifiu, Stefano Di Battista e 50 sax del conservatorio di Santa Cecilia, Francesco Di Bella, Rocco Hunt, Kachupa, Levante, L’Orage, Modena City Ramblers, Musicamanovella, Piero Pelù, Kachupa e Carlo Petrini, Perturbazione, P-Funking Band, Piotta, Daniele Ronda, TaranProject, Riccardo Sinigallia, Statuto, Tiromancino, Velvet.
O con quella del 2015: Alessandro Quarta con i Bottari della Cantica Popolari, Kutso, La Rua, Bamboo, Nigga Radio, Ylenia Lucisano, Sandro Joyeux, Ghemon, Daniele Ronda con Folkclub e Mimmo Cavallaro, Almamegretta, Mario Venuti con Mario Incudine, Tarantolati di Tricarico, Med Free Orkestra, Levante, Santa Margaret, Lello Analfino con Tinturia, Dellera, Teresa De Sio, Otto Ohm, Nesli, James Senese con Napoli Centrale, Alessio Bertallot (DJ set), Paolo Rossi Band, Enrico Ruggeri, Emis Killa, Paola Turci, Enzo Avitabile con Alpha Blondy, J-Ax, Irene Grandi, Bluvertigo, Lo Stato Sociale, Alex Britti, Goran Bregović (!!!), Lacuna Coil, Noemi, Premiata Forneria Marconi, Alessio Bertallot (DJ set)
Il programma 2018 al confronto può repellere o suscitare sospiri di entusiasmo: resta una questione legata ai gusti differenti. Ciò che non si può discutere di certo, invece, è che il concertone dall’anno scorso ha ricominciato a proporre musica secondo un’idea coerente e credibile. Che, in altre parole, vuol dire fare una direzione artistica. Per davvero.
Viva Viva. Non so se è meglio rimpiangere i vari tarantolati o tuffarsi a capofitto tra la ‘nuova onda’ del momento: alla fine mi hanno colpito molto le performance dei ‘classici’, quelli che un tempo erano nella posizione della ‘new thing’ e che hanno saputo costruirsi una credibilità autentica con dedizione e sana alimentazione del talento. Come un Max Gazzè che ha il fegato di presentarsi con un’intera orchestra sinfonica sul palco per sembrare un decano della musica ‘alta’ non rinunciando a far festa. O la reunion de Le Vibrazioni, calligrafica, ma con le canzoni cantate dal pubblico a un unisono più d’effetto che per ogni altra performance, sia da chi segue Sfera sia da chi Sfera lo schifa, come a unire i puntini lungo un ventennio, in cerca delle origini di molta di questa musica (dell’itpop soprattutto). O i Calibro 35, di una pulizia acustica abbagliante, un livello totalmente ‘altro’ di intendere la musica nonostante l’ingiusto trattamento in scaletta, usati come una stanza detox tra altri numeri ad alto tasso energetico (bah).
O, infine, l’intero set di The Zen Circus, puro, vero, preciso. “Catene“, “Il fuoco in una stanza” e soprattutto “Viva”, una canzone del 2014 che al Primo Maggio 2014 non c’era, e che invece oggi pare così urgente, chiarificatrice, illuminante su molti fenomeni in corso. Compreso il dito medio di Sfera e l’intero diagramma espressivo-musicale di Gazzelle, per dire di due accadimenti che accetto, di buon grado, ma proprio non me lo so spiegare, io, non me lo so spiegare, nemmeno (o soprattutto o ancora di più) dopo ieri.