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Dentro urlavo Dio ancora

Ed ero contentissimo di Tiziano Ferro, da Nessuno è solo, 2006

Tiziano Ferro Nessuno è solo

Pubblicata come secondo singolo di traino a Nessuno è solo dopo l’insolito e oscuro synth-pop di “Stop! Dimentica”, “Ed ero contentissimo” chiarifica in che modo il terzo album di Tiziano Ferro sta modificando il suo linguaggio ridefinendone i confini. Le influenze urban e contemporary R’n’B si stemperano, i tempi rallentano e la drammaticità teatrale che aveva caratterizzato canzoni come “Imbranato” e “Sere nere” diventa centrale.

Direi quasi ‘matura’, soprattutto nella contraddizione che anima la voce di Tiziano: “Ed ero contentissimo” infatti è una canzone dove il presente è dominato dalla distanza e da toni bui ed ed è squarciato dai momenti del passato che la memoria di lui associa a una felicità ‘pura’; eppure questo ricordo non conduce a una richiesta di ripresa della relazione, ma al contrario lascia intendere che la distanza sia una condizione inevitabile.

Come accadeva in “Non me lo so spiegare” e in parte in “Sere nere”, in “Ed ero contentissimo” Tiziano racconta ancora più enfaticamente il trauma di una separazione in parte inspiegabile e purtroppo inevitabile, in ogni caso drammatica: lei starà facendo il suo percorso ricostituente, convincendosi nei pensieri “che forse è meglio”, perché sorride un po’ di più; il dolore tuttavia costringe a ripassare uno per uno nella mente i momenti belli del passato, dove ogni voce saggia suggerirebbe di razionalizzare, farsi forza e andare avanti.

Le ipotesi si mescolano agli eventi realmente accaduti, le fantasticherie si fondono con le valutazioni più sagge, confondendo i piani fino allo sfinimento; “il ricordo del ricordo che ci suggeriva / che comunque tardi o prima ti dirò / che ero contentissimo / ma non te l’ho mai detto che chiedevo / Dio ancora / Ancora, ancora, ancora”, insomma: una confusione diffusa tra tempi verbali e piani temporali, che lascia intendere che “qualcosa che non torna c’è”.

Mentre persevera in questo ricordo/non ricordo, si fa strada forte l’idea di un’ombra, una forza oscura a regolare tutto, pensieri ed eventi: perché questa storia non è andata avanti, o forse addirittura una storia vera non lo è mai stata? Qual è la causa reale ed evidentemente indicibile di tutto? In altre parole, si ritorna al punto cruciale di qualche anno prima, alla domanda retorica senza risposta: “Ma vuoi dirmi come questo può finire? / Non me lo so spiegare”.

Questa polarizzazione tra presente e passato, tentativo di distaccarsi e ricaduta nel vortice del ricordo, trova una perfetta rappresentazione della struttura della canzone, un ribaltamento dei pesi canonici (e ‘baglioniani’) in cui è la strofa a farsi carico dei toni narrativi e il ritornello a fare involare i versi verso toni più spaziosi e diradati (alla “Sabato Pomeriggio”, per fare un esempio concreto e assimilabile a livello tematico). Qui è il contrario: la strofa fa spazio, cercando di allontanarsi dai centri più ‘caldi’ del ricordo, ma in questo spazio è proprio il ricordo a intromettersi, con un ritornello al fulmicotone, dalla metrica ansiogena.

La lunga strofa è articolata in due momenti: nel primo i toni sono velenosi, prevale il risentimento, ci si muove dentro un presente che guarda ipotizza un futuro (per lei) doloroso (“Ora che tutto va a caso / Ora non sono più un peso / Dimmi quali scuse inventerai?”); nel secondo il risentimento si scioglie lentamente in una specie di nostalgia ipotetica, in cui Ferro immagina la reazione di lei al dolore dell’essere stata lasciata (da lui), adducendo che è comunque un atteggiamento di copertura, un mascheramento della sofferenza (“Inventerai che ora ti ami un po’ di più”). Il testo si dilata, la voce è imperiosa, scura, un filo carezzevole nella seconda parte. Ferro sillaba lentamente creando una sorta di sospensione temporale, di attesa indefinita.

Copertina di Tiziano Ferro Ed ero Contentissimo

Nel ritornello questo fumo temporale si sgretola nel ricordo del passato, questa volta concreto e reale. È un ricordo di quelli che si viene invitati a dimenticare in fretta, e che invece si persegue facendosi del male consapevolmente, quasi per un compiacimento dello struggimento. La metrica improvvisamente si accartoccia su se stessa, velocizzando il verso, consumandosi l’ossigeno, inseguendo una specie di moto perpetuo che non lascia scampo. Tiziano può dar sfogo a tutto il suo teatro, la sua abilità interpretativa, l’incredibile agilità che ha nel comprimere e dilatare, mettere in pausa oltre lo sfinimento e ripartire più velocemente degli altri. “In fondo eri contentissima /

Quando guardando Amsterdam non ti importava / Della pioggia che cadeva”: i periodi superano i confini dei versi, senza il timore di cominciare dove non si comincia, spostare gli accenti, invadere lo spazio a disposizione lasciato dal suono con irruenza e consapevole invadenza. È ormai un punto di forza di Ferro, che diventerà stilema, persino cliché: l’estremizzazione dei toni confessionali che porta il verso a debordare, a far traboccare la canzone di verità cantata, piegando la canzone con le sue regole non scritte alla forma informe di questo monologo interiore.

È l’evoluzione del pop melodico all’italiana, proteso con un braccio alla canzone d’autore e con l’altro all’introspezione del rap (anche se di black, rap o R’n’B non c’è più nulla in “Ed ero contentissimo”, almeno in termini esclusivamente musicali). Di contro, ci sono richiami espliciti che si potrebbero considerare rielaborazioni consapevoli più che citazioni dirette, simbolici prolungamenti di una tradizione. Due, in particolare. Il primo è il finale del ritornello che rievoca, più che Eduardo de Crescenzo, il brano del 1978 interpretato da Mina e scritto da Cristiano Malgioglio e Giampietro Felisatti, dove l’intensità della richiesta avanzata nel tempo presente (“io ti chiedo / ancora”), vista a posteriori, fa diventare il ricordo di quel momento ancora più sofferto: “non te l’ho mai detto che chiedevo / Dio, ancora / ancora / ancora”. Tra la Mina di Malgioglio e il Tiziano dello strazio c’è una continuità sorprendente.

Il secondo richiamo è ancora più sofisticato (qui assumo ciò che mi piace credere, e cioè che sia tutto voluto, e non casuale). I verso che apre il bridge è una ripresa quasi integrale di quel “E il mio ricordo ti verrà a cercare” che apre il ritornello di “Per me è importante” dei Tiromancino, anno 2002. Un riferimento decisamente simbolico, perché ribaltato: dove il brano dei Tiromancino, ballata pop tra le più importanti del post Duemila, usa la linea melodica come per fare involare il messaggio amoroso nell’eterno, con lo scopo di ridurre la distanza, “Ed ero contentissimo” riconfigura gli stessi elementi all’interno di un ambito emozionale dominato dal rimpianto e persino dall’ossessione. “E il mio ricordo ti verrà a trovare / Quando starai troppo male / quando invece starai bene resterò a guardare”, come a dire che il contatto resta consolatorio nello scopo, ma tormentato e davvero gravoso nello spirito.

I due versi non condividono solo le parole ma l’intera linea melodica, con due territori d’approdo diversi ma complementari: nei Tiromancino è la speranza, in Ferro è il rimpianto, quasi un sentenziare per l’eternità, un fendente scagliato al limite della minaccia. L’esperienza musicale dei Tiromancino avrà un’influenza enorme sul pop italiano di questa epoca, come un’ondata di intimismo che però è riuscita, per un periodo, a ottenere il seguito del grande pubblico. “Ed ero contentissimo” sembra subire questa influenza traducendola in un linguaggio, quello di Ferro, che comincia qui a dichiararsi nella sua forma più mainstream: l’intimismo diventa corale, l’indolenza sentimentale diventa tormento, ‘forze oscure’ ed esistenziali governano il cuore come a mitigarne gli slanci, come un vizio di fabbrica, un deficit di partenza. Alla mia età sarà dedicato interamente a questa autoanalisi, prima della liberazione di “La differenza tra me e te”: intanto la canzone di Ferro battaglia col presente, rinverdendo un’idea di passato felice irriproducibile, eppure vivissima nella sua azione. In ogni caso, nulla che rientrasse nei canoni del pop italiano da almeno un decennio, per intensità e profondità.

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