
Masaniello vive sempre: Pino e Laïoung
Pino Daniele pubblica Je so’ pazzo nel 1979. È un brano che impone subito come iconico: per la sua forza declamatoria, l’urgenza dei toni e l’irriverenza del pensiero che lo guida. “Nun nce scassate ‘o cazzo!” è tuttora una delle chiusure più forti che la canzone italiana possa ricordare.
Suo malgrado, è forse anche il brano più riproposto e talvolta maltrattato, secondo tra i suoi forse solo a Napule è. Io conto circa venti interpretazioni su disco (ci passano anche Massimo Ranieri, Teresa De Sio e l’immancabile Mina), ma saranno molte di più, includendo le tavolate celebrative, gli show sui santi e sui morti di Rai 1, i talent. Nulla che abbia superato l’oleografia sciatta. D’altronde, superare la corrosività anarchica di un brano come questo è quasi impossibile.
“Nella vita voglio vivere almeno un giorno da leone”, dice Pino. Laïoung, nuovo eroe trap di sangue italiano e sierraleonese, il leone (lion) ce l’ha nel nome. Denti d’oro e muscolatura imponente, questo nuovo eroe della trap, che canta e si produce – un dettaglio non secondario – spara un album doppio dal doppio titolo littorio: Ave Cesare: Veni, Vidi, Vici. In mezzo, si concede di incidere Fuori (Je so’ pazzo), ed apriti cielo, forse la prima concreta riflessione sul senso della canzone di Pino che avvenga usando la stessa forma di canzone.
Intanto c’è l’intelligenza ritmica: dato che i codici della trap rallentano il beat in 4 del rap da canone, spesso assestandosi su linee melodiche a tempi ternari, l’originale di Pino – una specie di tarantella dilatatissima che diventa uno swing – offre a Laïoung un pavimento perfettamente oleato su cui scivolare con disinvoltura i suoi versi ancora declamatori, coerenti con l’impianto originale.
Anche qui la pazzia – simulata o concreta – serve a scardinare l’ordine precostituito. Se è prodotta ad hoc, lo è in virtù di una storia di sopruso, millenaria o strettamente contemporanea: a volte Laïoung lo esplicita (“quante persone che ho aiutato / i propri interessi rincorrono / Ti fanno diventare pazzo / E ricontiamo ogni mazzo”), altre lo fa intendere senza dirlo, lasciando che il rischio connesso alla minaccia faccia il suo (“e voglio un milione dopodomani / mi vedi non fare giochetti strani”).
Il denaro, come sempre, è un pretesto (“Siccome sono interessante / Il mio interesse è a prezzo alto”). Dietro, in sostanza, c’è il trauma del tradimento e la coscienza di una vita come guerra in solitaria (“Zaino carico di cash, AK-47 nella borsa”): una retorica alla Taxi Driver che è già realtà quotidiana, come nelle storie di arzilli vecchietti che sparano trasfigurati in eroi di provincia.
Il bersaglio – e il punto cruciale della questione – è sempre un simbolico italiano non riconosciuto alla pari dall’italiano che si sente tale di diritto. Accadeva così per il napoletano degli anni Settanta, ed Edoardo Bennato prima e Pino Daniele poi furono fondamentali nel dar voce a questa percezione di isolamento.
Oggi di questo nuovo italiano-non italiano si continua a dare per scontato il suo status di debitore nei confronti dello Stato e della cittadinanza “geneticamente” italica, la sua presunta docilità di adattamento. Salvo che questo italiano “non accreditato” non cominci a rivendicare quel che è suo diritto, e magari, con il pretesto della pazzia, a giocare a seminare il panico: non c’è paura più efficace di quella ribaltata su chi la produce (“Per quello non ti devi avvicinare / Se non apri gli occhi ti faccio male”).
Anche per queste ragioni, il reworking di Laïoung è una delle liberazioni di senso più vivide che siano state mai concesse a un brano di Pino Daniele, ben oltre l’agiografia di stile. E lui, è verosimile immaginarlo, ne sarebbe stato fiero. Anche perché finalmente qualcuno fa notare che Masaniello non muore mai: intanto che “noi” facciamo congetture filoelettorali sull’identità del suo sangue, questo italiano-italiano è si sta giustamente incazzando. E se viene a chiedere il conto “pazzianno”, sono cazzi, per dirla swag.
“Masaniello è cresciuto
Masaniello è tornato
E non mi sono dipinto la faccia
Nero sono sempre stato”
Leggi anche: De Generatione: Mauro Ermanno Giovanardi, Neffa e “Aspettando il sole”