Più dura di una pietra
“Grazie” di Nada, da L’amore è fortissimo il corpo no, 2001

Non esiste una storia di rigenerazione della propria carriera artistica in Italia come quella di Nada Malanima. Almeno non ne esistono di casi così estesi sulla lunga durata, passati attraverso fasi tanto differenti, paradossalmente schierate ‘al contrario’, e comunque perlustrate sempre in modo rapsodico: dal popolare sanremese (Il cuore è uno zingaro) al cantautorato dei margini (l’esperienza con Ciampi), dal pop new wave (Amore disperato) al silenzio dei primi anni Novanta, dal ritorno a Sanremo fino all’approdo definitivo al rock libero (di bacino alternativo) dal Duemila in avanti.
La fenomenologia di una ricerca costante del sé artista e sé donna, esercitata senza ansie di auto-affermazione, al contrario affidata a una sobria tenacia sperimentale, nel senso di “esperimento”, di costante contatto con forze altre che servono a definire e rifinire i propri contorni, dal diverso dal sé al sé. E questi altri sono stati tanti: il Nada Trio con Mesolella e Spinetti degli Avion Travel, il Massimo Zamboni de L’apertura, il tour con i Zen Circus, la produzione di Enrico Gabrielli per Occupo poco spazio, senza omettere fondamentali coraggiose rentree sanremesi, una delle quali con Cristina Donà, per Luna in piena, fino al tributo ricevuto dalle Amiche per l’Abruzzo con il trio Consoli-Turci-Rei.
L’altro asse segue una forma di canzone più ‘convenzionale’, volendo semplicissima, organizzata su geometrie armoniche cristalline e persino prevedibili, sebbene mai scontate. È la ‘ballata alla Nada’, costruita su un paio di strofe e relativi ritornelli, tendenzialmente a tema amoroso. Un elogio del potere della semplicità che ritroveremo costantemente in tutte le canzoni di Nada degli album incisi negli anni Dieci-Venti, di solito in due-tre variazioni sul tema per album.
Se ne potrebbero scegliere una dozzina. Scegliamo Grazie, da L’amore è fortissimo il corpo no, anno 2001, forse nemmeno la più sofisticata di queste ballate, ma certamente un esempio che strutturalmente ne contiene tutti gli elementi portanti.
L’incipit è autosufficiente: “Grazie per avermi spezzato il cuore”. C’è tutto e potrebbe fermarsi qui. Non è sarcasmo, ma consapevolezza pura: l’intensità del sentimento vissuto, con tutti i dolori annessi, è superiore alla tentazione al contenersi, a impedirsi un tuffo carpiato nel magma pericoloso di una relazione.
Questo mettersi in discussione ha pagato, e la narratrice, con la placidità di chi ha vissuto abbastanza per sapere che siamo arrivati a un punto di arrivo, sa che è il momento di ringraziare.
Lui, l’oggetto della dedica, non ha fatto nulla di straordinario. Non è un eroe, o un uomo da santificare. Ha ‘solo’ saputo ascoltare “quando non dicevo niente”, che equivale a riconoscere che questa relazione si muove su binari extra corporei, quasi animici. L’importanza del silenzio è ribadita: “senza tante parole / hai saputo farmi sognare”.
Questo ‘tributo’ non deve suonare stridente rispetto a un’idea del cantare di Nada intriso di femminismo. È una donna pienamente in possesso delle proprie facoltà a ringraziare per essere stata consolata, a promettere:
resterò con te
più dura di una pietra
così stretta che niente
mi potrà staccare
È come se si intuisse, dietro questo dolce dono di gratitudine, una revisione del percorso compiuto, ormai alle proprie spalle. Certamente un percorso duro, in cui la narratrice si è misurata con i suoi limiti, le proprie idiosincrasie, e man mano che si evolveva, imparava a conoscersi, a ‘vedersi’ soprattutto: “perché lo sai io a volte non ci sono ma sembro / senza saperlo mi tormento”.
Quindi il ‘Grazie’, in realtà, sembra essere soprattutto diretto al sé che canta, senza però scadere in una prospettiva inutilmente auto-determinista, in cui alla fine si esce dal tunnel nella propria ritrovata integrità ma ‘soli’ nel mondo. Al contrario, il percorso di attraversamento ha consentito a questa relazione di esistere ancora. Sono cambiati entrambi i poli, e probabilmente sono destinati ancora a soffrire e vivere momenti di strazio reciproco. Ma sono in compagnia, e questo è un trionfo, per il quale è giusto celebrarsi.
L’immagine della durezza della pietra fa pensare a una donna che, nei momenti di sconforto, tendeva a fuggire, o a rendersi evanescente. Fragilità vs solidità. Magari proprio in virtù di un’ostinato credere di esistere come singolo solo in solitudine. Chissà che non sia “l’angelo caduto dal cielo” da sola al Sassofono Blu, mentre fanatici in pelle “la scrutano senza poesia”. Forzandoci con la fantasia, immaginiamo questa lei che balla “tra le stelle accese”, mentre si stava probabilmente predisponendo ad accogliere un amore chiaramente “disperato”. Vent’anni dopo, Grazie sembrerebbe un bilancio, prima di tutto con sé stessi. Congratulazioni, Malanima, hai amato nonostante tutto, puoi permetterti di dire che amerai per sempre.
Ho usato il termine relazione in senso vago. Perché Grazie può riferirsi a una relazione amorosa, certo. Ma poiché si presta perfettamente a un finale da concerto, con il suo giro armonico rilassato, venato di blues, il ritornare costante sull’accordo di partenza, il finale perfetto per un abbraccio in proscenio, ebbene per tutto questo Grazie sembra diventare anche un ringraziamento al pubblico, a tutti coloro che sono rimasti fedeli anche quando il percorso artistico di Nada era in tumulto, che hanno saputo aspettare anche i molti anni di lontananza dai palchi (“per avermi anche ascoltata quando non dicevo niente” è, in questo senso, la frase che meglio si presta a questa lettura).
In questa lettura vincolata all’esperienza di Nada artista, quel “resterò con te più dura di una pietra” sembra una promessa di coerenza, nonostante l’asprezza del percorso scelto. Una promessa decisamente mantenuta, visto che da Dove sei sei (1999) Nada non ha smesso di pubblicare album, fare concerti, cimentarsi in molte collaborazioni. Sempre sorridente, sempre reinventandosi senza stravolgersi.
Non è una novità, nella canzone italiana, il rivolgersi a un ‘tu’ che può essere al contempo amante e ascoltatore. Del resto, non c’è relazione più ambigua di quella tra un fan e il suo mito. Ciò detto, al di sopra di entrambe le letture, c’è l’orgoglio di aver compiuto un percorso arduo insieme, pur in una “terra dura che mi tira giù”, essere riusciti ad attraversare lo spazio, pur in una “terra dura che mi tira giù”. Contempliamone adesso i frutti e celebriamone la bellezza: ci vuole fegato e un voto costante alla ricerca per arrivare a questo punto. E allora brava Nada, canta un “grazie” a lui, a te, a voi due e, se vuoi, anche a voi migliaia che siete lì, sotto il palco di un club o di un festival estivo. E per la gioia, fischietta come un usignolo in falsetto: “Niente mi potrà staccare più-ù-ù-ù-ù-ù-ùùùùù”. Che pace.