Categorie
Articoli recenti

No posts were found.

L’era della seniority

Sanremo 1993, era Baudo. La 18enne Laura Pausini sbanca tra le nuove proposte con La solitudine e lancia una carriera transoceanica. In gara c’è anche Erminio Sinni: cantautore e nome che gira da un po’ nei locali capitolini, mostra un aplomb dinoccolato, una certa insofferenza al paradigma dello show, ma anche fame di giocarsela. È quinto, a 80 voti dal podio. Nel suo disco, Ossigeno, c’è un’altra canzone, E tu davanti a me, a cui accade un fatto raro: senza promozione, diventa negli anni un nuovo classico da pianobar, guadagnandosi persino una storpiatura del nome (E tu sopra di me). Sinni continua a cantare, scrivere, incidere; la fama, decisamente anomala verso di lui, è una lunga eclisse. 

Dicembre 2020: la musica è ferma, il Paese si specchia nell’atroce conseguenza della sua longevità e Rai Uno manda in onda The Voice Senior, spin off per over 60 di un format che non ha mai funzionato. Sinni riappare, canuto e gentile, sempre un po’ a disagio nel recinto del tv show. Gigi D’Alessio lo riconosce e ne racconta la vicenda, dando vita a un momento di forte intensità narrativa: il già pianobarista baciato dal successo estrae un collega dal nero dell’oblio, lo elogia, lo invita a prendersi la scena da protagonista, che il momento è arrivato. Sinni, che ha anche avuto il Covid, vince lo show: quando guarda ha gli occhi che sembrano sempre sul punto di scoppiare in singhiozzi, quando canta emana dignità, sconfitta, umiltà e dedizione. Vibrazioni insolite per un talent. 

Quella di Sinni è solo una delle molte storie che hanno reso The Voice Senior, sulla carta un coacervo senile ad altissimo rischio di trash, un successo inatteso. Invece che dall’illusione (Diventerai famoso! Lavorerai nella musica!), per la prima volta un talent è animato da un realismo assoluto, a tratti tragico: puoi diventare un professionista e rimanere nell’ombra per anni, o persino per sempre, perciò godi di questa occasione e non ti illudere, che il destino resta un animale beffardo.

Il music talent ci ha convinto che tutti hanno della qualità da scoprire e ci sono persone deputate a farlo, a inserire i migliori nella società, assumerli, dar loro il posto. La narrazione un tempo formidabile è oggi spenta: al centro dell’ultima edizione di X Factor, più che la maieutica del talento, c’è stata una sorta di gara di resistenza a chi più di tutti riusciva a non cambiare, a non farsi fagocitare dal barocchismo snaturante della macchina, quasi lo show stesso fosse la minaccia. Che tutto ciò si sia concluso con il commiato al programma di Alessandro Cattelan – un addio strano, più furente che commosso – ha solo aumentato il senso di esaurimento di questo incanto, la fine oltre il finale. 

In The Voice Senior invece, incredibilmente, il vecchio sembrava nuovo: a un Paese in congedo dal tempo libero, ha raccontato di desideri custoditi per anni che restano appigli, di occasioni sospese, di vite serenamente doppie, di capitomboli che rafforzano il sistema immunitario. Della solitudine dell’artista, nella sua fatica: Bergman e Jake LaMotta, Tony Pagoda e Cocoon. The Voice Senior è letteralmente il futuro di X Factor; quello che accade dopo, quando la ribalta te la devi cercare davvero: un flashforward.

Articolo apparso su FilmTv, n. 1/2021