
Mareluna
da Medina, RCA, 2001
Per tanti la carriera di Pino Daniele dopo il 2000 è irrilevante sul piano artistico. Forse è un giudizio un po’ troppo severo, ma effettivamente dei suoi album recenti è rimasto poco, e va bene così: in un certo senso era impossibile replicare la portata innovativa di ciò che Pino Daniele ha introdotto nella musica italiana tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta, includendo anche il periodo dell’apertura al pop, considerata spesso uno svilimento commerciale delle sue origini ma a conti fatti il suo periodo di massima visibilità mainstream italiana. Forse anche lui ne era cosciente: tant’è che in dischi come Iguana Cafè – Latin blues e melodie (2005), Il mio nome è Daniele e vivo qui (2007), Electric Jam (2009) e Boogie boogie man (2010) risuona il desiderio di suonare per suonare, senza preoccuparsi troppo di raggiungere il fuoco di artificio, a costo di apparire “ordinario”.
Paradossalmente, è stato un periodo di grande libertà errabonda, in cui Pino ha tentato strade per il gusto di farlo, senza dover dimostrare nulla a nessuno: si è riavvicinato al latin jazz (e al jazz club), ha sperimentato con i madrigali (sua antica passione), ha riavvolto il nastro di Nero a metà, concedendosi una reunion commovente con i Napoli centrale. “I need a new direction, è tempo di cambiare” cantava, ed era un appello a se stesso.
Prima di intraprendere questa strada, tuttavia, c’è ancora un disco in cui Pino Daniele appare pienamente rapito dalla ricerca di una nuova direzione. Medina, del 2001, anche all’ascolto odierno resta un gioiello: il punto di arrivo di un’idea realmente contemporanea di musica dal punto medio geografico esatto del Mediterraneo, dove Napoli non è mai sembrata così Tunisi e l’utopia di una convivenza non ha mai avuto una così vivida traduzione per suoni, almeno in Italia, almeno per un po’.
In Medina Pino Daniele torna a dedicarsi alla ricerca di un suono ‘meticcio’ che gli ultimi lavori “pop” avevano sacrificato. Lo si potrebbe definire un lavoro poroso: ci sono il Raï, la musica tunisina e subsahariana, la techno, la musica gypsy, il rap politicizzato (degli ospiti 99
Posse), persino Gesualdo da Venosa (nella ghost track), tutti interlacciati con cura al Neapolitan jazz-pop alla base del gergo Daniele contemporaneo.
Mareluna è la sintesi migliore di questo equilibrio tra sofisticazione world e immediatezza. Il brano comincia con un breve testo evocativo, in cui la fusione mare/luna prefigura una notte di amorosi sensi.
La casa sulla duna, lontana è la città
il mare ci porterà via
Si tratta di un testo estremamente scarno, quasi strumentale, eppure assolutamente necessario. Serve a evocare, in maniera languida e vagheggiante, con dettagli appena accennati, una sequenza di sensualità piena che verrà portata a compimento dall’intera costruzione musicale che ne seguirà.
Enunciati i versi, infatti, la frase di chitarra che domina il brano comincia a cavalcare un kick pulsante ed elettronico che incalza e suggerisce enfasi erotica, dialogando con una frase di archi che rimanda a suggestioni malouf, sempre più intensa e ficcante. Come accadeva in un capolavoro del passato come Chi tene ‘o mare, anche in Mareluna le parole agiscono come il canto del flauto dell’incantatore di serpenti che serve a dare vita a una danza sussultoria e magica. Alla musica – all’armonia, all’intreccio degli strati dell’arrangiamento, al dialogo tra il solista e il coro – viene lasciato l’intero dipanarsi delle immagini evocate: è un segno evidente non soltanto della fiducia incondizionata che Daniele ripone nel potere del linguaggio musicale, ma anche di un assorbimento intelligente e acuto delle suggestioni “altre” a cui la canzone e l’intero album volgono lo sguardo. Conoscere la lingua non serve, in sostanza, se è la musica a tendere un filo comune. Il sesso, da una parte all’altra del Mare, è sempre sesso e la fusione, del resto, è suggerita fin dal titolo: Mareluna, con i due elementi opposti e complementari uniti, in un’unica espressione, magmatica e conturbante.
Perduto in un solo che cavalca scale jazz e arabiche con la stessa confidenza, Pino Daniele raggiunge il climax fusion di Medina, il sogno di una musica che coglie il respiro del Mediterraneo, nel suo centro esatto. E che sarà un altro successo. Proprio per la sua natura universale, quasi come uno standard jazz, la canzone si presta a tante rielaborazioni. Una su tutte, memorabile: quella eseguita in un fortunato live in Piazza Plebiscito nel 2008, “chickcoreaesca”, ma con più cuore.