
Che diritti ho su di te?
da Golia e Melchiorre, Universal, 2004
Che diritti ho su di te? mette chi ascolta in comunicazione diretta con l’anima più riflessiva e disadorna della scrittura di Bugo, che spesso è anche quella più emozionante. Per chi si è fatto un’idea di Cristian Bugatti come cantautore sghembo, surreale e un po’ spigoloso, è una scoperta che lascia senza fiato. Una grande canzone nuda: pochissimi accordi, un suono disidratato fino a lasciare un cono di luce sulla solitudine e soprattutto versi che, con estrema semplicità, puntano all’essenziale del rapporto amoroso.
Dopo il buon riscontro di Dal lofai al cisei, uscito per una major e spinto da singoli diventati di culto (come Casalingo e Io mi rompo i coglioni), Bugo ritorna con un disco il cui formato in parte assurdo riflette proprio la dualità spinta della sua attitudine musicale. Tagliato in due come Speakerboxx/The Love Below degli Outkast, Golia e Melchiorre celebra l’abbondanza creativa senza sintesi di Bugo in una scaletta che, invece che mescolare con raziocinio l’anima più ruvida a quella più intimista, le confina in due dischi distinti.
Il primo cd Arriva Golia galoppa surreale e senza briglie tra post-rap, rock e wave; si avverte nell’ascolto l’urgenza di sorpassare limiti che lo stesso Bugo aveva già superato con il lavoro precedente, dando vita in alcuni casi a canzoni che sono labirinti senza uscita, di un’eccentricità così impenetrabile da rendere piuttosto ardua la possibilità di affezionarvisi (anche se Il sintetizzatore, brillante presa per i fondelli dell’invasione del fattore sintetico nella musica pop contemporanea, e quindi dell’adesione acritica alle mode in sé, resterà un classico richiesto nei concerti).
Il vero colpo al cuore è però nel secondo cd, La gioia di Melchiorre. Bugo si rinchiude in un lo-fi folk intimo e spiazzante, dove le asprezze e gli spigoli dell’esordio ultra-indie di La prima gratta vengono fatte confluire verso una purezza dell’espressione che lascia storditi per delicatezza e nudità. Ogni canzone è un come un cristallo del mondo-Bugo, in cui l’assenza di ornamenti nell’arrangiamento come la rinuncia a qualsiasi artificio nella composizione del testo riescono a creare un efficace spazio di vuoto attorno ai versi, enfatizzandone disperazione, senso di straniamento e – soprattutto – richiesta di verità, che resta uno dei temi portanti di tutta la scrittura dell’autore. “Non m’innamoro mai / il mio cuore / lo conservo nel freezer / a che temperatura? / chissà, si scongelerà” canta Bugo in Non mi arrabbio mai, una delle migliori canzoni in scaletta insieme a Rimbambito, e sono versi che la dicono lunga sulla percezione di quel crescente senso di isolamento che diventerà uno sfondo irrinunciabile proprio della canzone non commerciale degli anni Zero.
Il classico che però rimarrà è soprattutto Che diritti ho su di te?, ballata chitarra, voce, armonica e nessun ritornello, sospesa tra Nebraska e Comunque bella di Lucio Battisti, tra l’abilità di evocare ancora una bruciante solitudine e l’appello per una gestione della relazione che sia in grado di “dire le cose come stanno”, senza tentennamenti, senza inchiodare l’amante a uno stallo, un voglio-non-voglio-e-quindi-non-mi-impegno che, a pensarci bene, è la grande piaga sentimentale di questo periodo, quella “precarietà” come nuovo standard che dal piano sociale e lavorativo si è traslata, con effetti devastanti, su quello privato.
Tutto ciò i versi di Che diritti ho su di te? lo condensano in piccole cellule di illuminante chiarezza, che come sempre in Bugo sembrano estratte dal cuore di un dialogo amoroso senza alcun filtro né scelta strategica. È un metodo che risente profondamente della dialettica introdotta da Vasco Rossi nel racconto del rapporto amoroso, al quale Bugo non ha fatto mai alcun mistero di ispirarsi. C’è la tortura di una relazione che deve resistere alla distanza e il conseguente timore che il vedersi non sia mai “abbastanza”, ci sono i pensieri che si tramutano in paure e poi veri e propri incubi sull’indisponibilità dell’altro a fare piani o programmi, quel “tabellone” senza orari che mette in diretta comunicazione con l’assenza di “un futuro sicuro”, compensati dalla sola fragile certezza di “essere il tuo pensiero / che ti allontana dal tuo buco nero”. Salvo poi ribaltare il punto di vista, perché l’incertezza di uno alimenta la fragilità dell’altro: Che diritti hai su di me?
Ecco perché Che diritti ho su di te? non può che essere una canzone di domande dirette e disarmanti, tutte dentro il “momento della verità” di ogni storia d’amore: quando smettere di difendersi, cosa rivendicare, cosa dire oltre le parole, cosa sognare:
“Mi hai chiamato tu
il mio silenzio è una spada appuntita”.
Altre canzoni di Bugo: “Casalingo” – “Nel giro giusto”