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Profumo

da Numen, Ribess Records, 2019

Le composizioni di Pieralberto Valli chiedono di essere fruite attraverso una forte disposizione all’abbandono. Se ci si ostina ad ascoltarle prestando attenzione alla direzione in cui corre la melodia, soffermandosi sui suoni in cerca di una reminiscenza o scandagliandone i laconici versi per afferrare il senso dell’enunciazione, si resta inevitabilmente ancorati a una visione razionale dell’espressione artistica  Cthe qui, a livelli raramente così intensi, rischia di lasciare chi ascolta appiccicato alla superficie, inabile a distaccarsi, sfumare, trascendere.

Lo si era già capito con l’esordio Atlas, del 2017 (nella nostra Top 40 di fine anno): bellissima e acquatica immersione nel relitto della città perduta in cerca di fantasmi in cui sentir riecheggiare le tracce di una ricerca personale che fa piazza pulita delle sovrastrutture, per rintracciare, come attraverso un luminol acustico, la nostra storia.

Ed è ancora più nitido ed esaltante in Numen, un lavoro esplicitamente puntato come un vettore verso l’altro: il divino, l’immateriale, quel tu a cui Valli si rivolge per tutto l’album impossibilitato a isolarne una silhouette ma al contempo gassificato e liquefatto nelle molte forme del quotidiano che gli si frappongono durante il viaggio iniziatico che caratterizza i brani: l’amore, l’eros, il corpo, le tenebre dell’esistenza, il buio. Quindici tracce connesse e legate tra loro dal filo di una danza a due tra l’io e il sé rifratto nell’immanente, in una danza/scontro/nascondino in cui il fumo che invade il percorso annebbiando la vista sull’orizzonte è direttamente proporzionale al progressivo affidamento all’altro, che qui vale (anche) come il Padre (“Dieci volte conoscerò / il gelo dell’inverno / il tuo calore dissolverà il gelo / il tuo calore squarcerà il cielo”, Tutto ciò che so).

Questa visione chiaramente influenzata dalla ricerca alchemica già delineata in Atlas, e che qui Valli spinge nelle direzioni suggerite da letture dichiarate (Ermete Trismegisto, Jung, Annick de Souzenelle) trova un riscontro pieno e senza mediazioni dentro l’apparato strumentale: la dualità della visione terrestre/aerea e materiale/immateriale ritorna nella convivenza fosforescente tra suoni analogici e digitali, pianoforti liquidi calati nella solitudine di soundscape lunari e pixelati, la malinconia strutturale del Thom Yorke solista e il dream pop fantasmatico dei Beach House. Persino la singolare forma distributiva scelta per il disco ha a che fare con la sua natura di ricerca senza binario: Numen è pubblicato una canzone al mese, per tutto il 2019, dando l’impressione che man mano che le uscite proseguono l’iter di ricerca si plasmi e rimodelli in funzione delle scoperte compiute.

È probabile che ci sia chi lo bollerà come freddo misticismo: ancora una volta, la razionalità è lo stesso abbaglio che impedisce di entrare in empatia con queste vibrazioni. Invece, nella perfetta solitudine che ben rappresenta il suo ruolo di outsider assoluto rispetto alle tendenze del pop contemporaneo, Valli persegue una strada che trasfigura la musica nella sua funzione di inquadrare il presente, liberandola dal gioco del realismo e donandole la facoltà della risonanza: si può entrare dovunque in Numen, in totale incoscienza, certi che chiudendo gli occhi si sentirà risuonare qualcosa – un verso, un vuoto, un battito minimalista che entra in simbiosi perfetta col cuore.

Chi cerca un punto di partenza di estrema malia, si affidi alla glaciale sensualità di Profumo, la seconda traccia del pacchetto: andamento marziale ma carico di inquietudine, incedere della melodia para-liturgico che si appisola su sospensioni di armonia in maggiore (un po’ Ferretti, certo), voci che raddoppiano, si moltiplicano, cercano echi entro le risonanze della ritmica e vi si sfaldano. Il dialogo tra le due entità acquista qui una dimensione eccezionalmente corporea, come in una battaglia carnale e persino erotica, in cui però alla fine l’io, quasi compiaciuto della forza insinuante della controparte, ammette la sconfitta, mentre voci acute come entità aliene invadono la polvere sempre più fitta che invade l’aria: “Poi fermati / Mentre inciampa il respiro / E si increspa il suono / Della tua pelle / Si spezza / Va in fumo / Frantumi / L’eterno / E ogni cosa vinci / Ogni cosa vinci”.

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