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Copertina Inverno Ticinese Coma Cose

Anima lattina

da Inverno Ticinese, Asian Fake, 2017

Nel 2008 Dente apriva L’amore non è bello, l’album di “Buon appetito” e “Vieni a vivere”, un piccolo classico del neo-cantautorato del post Duemila, con una citazione esplicita di Anima latina di Lucio Battisti (da “Abbracciala abbracciali abbracciati”). Il richiamo è ormai ritenuto un momento cardine nella appropriazione del repertorio battistiano da parte dei nuovi artisti italiani,  tant’è che se oggi, dopo oltre un decennio, la nuova scena ha sacrificato la canzone d’autore intimista a trazione acustica in favore di un synth-pop quadrato di derivazione anni Ottanta, Battisti è rimasto comunque un culto di riferimento per molti dei suoi maggiori rappresentanti, ed è ancora talmente fecondo di stimoli verso le generazioni più giovani da contaminare con la sua influenza anche mondi un tempo impensabili in riferimento alla sua produzione (almeno a quella mogoliana), vedi l’hip hop e le sue varie mescolanze con l’elettronica.

I milanesi Coma_Cose, aggiungendo all’anima latina una strategica “t”, si appropriano di un intero universo battistiano per veicolarlo in un ibrido di difficile ma decisamente originale sul piano stilistico, situato all’incrocio tra rap, trap, indie, cantautorato più tradizionale e melodia. Anima lattina, il risultato, tiene insieme tante suggestioni senza tuttavia dare l’idea di un’accozzaglia presuntuosa o deforme. Tutt’altro: Fausto Lama e California superano la citazione come vezzo ed entrano a passo incredibilmente disinvolto in un’area in cui Battisti diventa un umore generale, il filtro di una galleria su instagram, un sistema di colori attraverso il quale rispecchiare la storia di un ricordo infantile.

Graziati da una leggerezza del tocco che consente loro di risultare spontanei pur in presenza dei molti artifici linguistici messi in atto, i Coma_Cose trasportano le sfere del sentimentalismo quotidiano mogoliano, compresa l’indolenza e la vulnerabilità, nella topografia neo-rivitalizzata della Darsena milanese. I versi sottilmente malinconici scorrono in primo piano, mentre sullo sfondo ci si immagina il rimbombo filtrato delle casse di uno street food biologico, il va e vieni dentro una rosticceria sicula in franchising (citata per nome nel verso “Fiori arancio Vucciria”, un branding clamoroso), un social media manager che chiude la sua brompton pieghevole e un pakistano che testa nuovi prodotti sul suo target di riferimento, moretti da 66 e focaccina a un generico formaggio in mano: “Biciclette nostalgia / Rose gialle gelosia / Coca zero caloria / Conoscersi ed appartenersi / Pizza al trancio anestesia / Fiori arancio Vucciria / E inventarsi una bugia per rimanere soli”.

E’ Milano post Expo, “Milano sottomarino” (da “Jugoslavia”), che vince discutibili classifiche di vivibilità e intanto partorisce nelle periferie tutte le sue migliori nuove scene musicali, insomma, Milano verosimile e tenera e con le ossa rotte come da un (bel) po’ non capitava di vederla, raccontata in chiave autentica e a cuore squarciato almeno quanto si possa dire in modo simile di Roma, nei racconti di Carl Brave x Franco 126.

Anima lattina, che nei suoni sembra più affine al Battisti americano di Io tu noi tutti che a quello brasil-prog del quasi omofono album, è un frullatore sensoriale tutto sembra emanare una luce vivissima e autunnale (l’autunno, del resto, è rievocato come “un ideale da difendere”). Che si schiude nella sequenza conclusiva: l’ennesima birra aperta davanti al Naviglio agisce come la più classica delle madeleine proustiane, e pare di vedere la pellicola ingiallirsi improvvisamente mentre Milano è ormai alle spalle, la scenografia diventa quella di un’autostrada verso l’Adriatico.

Ne apro una da 66

Che poi sono gli anni di mio papà

Aveva gli occhi tristi

E in macchina Battisti

Guidare verso Jesolo

Le mani sul volante

Erano grandi come le zampe di un leone

Un bambino descrive un ricordo con la sua semantica (il padre-leone, quasi disneyano), dalla sua altezza; mentre gli occhi (ci) si gonfiano di lacrime, Battisti si trasforma da influenza e citazione a colonna sonora della sequenza, architrave del racconto.

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