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Cieli immensi

da Eccomi, Warner Music Italy, 2016

Di partecipazioni a Sanremo Patty Pravo, a ben vedere, non ne ha fatte nemmeno così tante: dieci, meno di Enrico Ruggeri o Anna Oxa, che hanno almeno un decennio di carriera di differenza, o meno anche di Loredana Bertè e Paola Turci, per restare sulle signore in gara nel 2019. Eppure la Patty nazionale passa spesso per decana del Festival, forse perché le sue apparizioni all’Ariston sono state in grado di captare l’attenzione, rendendosi spesso memorabili, al di là delle classifiche finali (che invece, il più delle volte, sono state grame).

L’edizione più importante per Patty Pravo, senza dubbio, è stata quella del 1997: la canzone era “...E dimmi che non vuoi morire”, un miracolo di fusione tra autori e interprete, un exploit di stile ancora insuperabile. Non arrivò nemmeno sul podio ma ha conquistato un posto centrale nella cronistoria degli anni Novanta italiani, non solo sanremesi.

Diciannove anni dopo, nel 2016, la reggenza contiana, inebriata dal sogno di trasformare Sanremo in un’edizione enhanced de I migliori anni, si danna per averla come super-ospite. Patty accetta ma vuole gareggiare, non vuole una ghirlanda dei suoi soliti successi, vuole fare ascoltare qualcosa di nuovo, possibilmente anche di importante. In gara porta “Cieli immensi”, firmata da Fortunato Zampaglione, autore in ascesa nel panorama pop del decennio, in nessun modo imparentato con il Federico dei Tiromancino (sue sono “Guerriero” e “Sai che” di Mengoni e “Battito di ciglia” e “L’amore esiste” della Michielin, tra le altre).

È una scelta benedetta: la canzone è trionfale, aperta, perfetta per l’Ariston ma a suo modo nemmeno banalmente sanremese. È un vis-a-vis tra due amanti che forse hanno condiviso una lunga serie di esperienze e che sono entrati in una nuova fase della loro vita, probabilmente accompagnati (lui) da altre persone, e che però oggi si ritrovano ancora intenti a chiedersi delle cose, farsi delle domande, tentennare, guardare al passato sperando di trattenerlo. Non una drammatizzazione eccessiva, uno strascico doloroso: semmai, un confronto intriso di maturità, risoluto ma capace di guardare alle grandi esperienze vissute insieme con tenerezza e partecipazione. E un briciolo di ironia, che solo l’interpretazione di una come la signora Strambelli può essere in grado di introdurre, con leggiadria sublime, in  quel trittico interrogativo che dipana tutta l’ariosità melodica del ritornello:

Ma tu chi sei?

E cosa vuoi?

E come mai mi pensi?”

un verso che a suo modo è stato assurto al ruolo di nuovo classico (nonché di slogan della comunità gay degli anni Dieci, inebriata dalla possibilità di utilizzare le molte interlocuzioni nelle chat di incontri, in senso chiaramente ironico).

Zampaglione, credo abbastanza intenzionalmente, dissemina la canzone di retaggi/omaggi alla storia musicale di Patty Pravo: nel già citato ritornello la ricorrenza di interrogazioni, frasi sospese e domande retoriche, in grado di far visualizzare a chi ascolta tutte le sfumature di questo confronto post-amoroso, pare riprendere la modalità dialogica del classico del 1997 di Rossi e Curreri, emulandone quella dinamica amichevole e quasi cameratesca che lì si instaurava tra l’interprete e il fantasma di Vasco, così come è difficile non leggere il riferimento alla presenza di una ‘lei tra di noi’ come un gioco ricombinatorio basato sul mitico triangolo di “Pensiero stupendo” (di cui vengono conservati anche i versi brevi e fortemente pronominali).

Riconosciuta a Zampaglione sia la sua qualità mimetica che l’abilità nel giostrarsi tra omaggio e rielaborazione, “Cieli immensi” resta un monumento all’abilità interpretativa di Patty Pravo, che già dalla prima esibizione sul palco dell’Ariston, glaciale nell’aspetto e spaziale nelle reminiscenze, le ha infuso un’aura teatrale e insieme umana, intensa eppure leggera, quasi frivola. Un saggio di che cosa significa interpretare un brano, covare ogni nota, creare connessioni e tensioni tra i versi, nascondersi con finto pudore per poi svelarsi d’improvviso, dando respiro a tutto: provate voi a cantare “Cieli immensi”, e vi renderete conto della in fondo ristrettissima gamma di possibilità che il ritornello consente – poche sillabe, una melodia elegante ma basata su un ventaglio in fondo ristretto di note, compensata da un bridge che si spinge verso l’alto, a tratti inafferrabile, come un discorso riportato, versi quasi svagati, il cui peso ruota su una locuzione iper-abusata dalla musica italiana tutta come “cieli immensi”. Provateci, e vi sembrerà davvero impossibile, almeno nel raggiungere un livello accettabile di intensità: “Cieli immensi” è un abito-pezzo unico, l’autoritratto in punta di pennello della personalità di una donna pienamente dentro il suo tempo, cosciente del suo ruolo nella cultura nazionale come del fatto di essere una donna nella sua età matura, con sobrietà e un vagone di stile.

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