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Copertina Go Go Diva

Woow

Serve qualche ascolto in più rispetto alla ridotta disponibilità di attenzione media odierna per accorgersi di quanto Go Go Diva, il ritorno di La rappresentante di lista, sia un album differente da tanti altri. Non tanto per la densità di idee delle canzoni, in fondo immediata, quanto per svelare la visione complessiva che domina l’intero lavoro, davvero eccezionale in termini di ambizione e coerenza nello sviluppo, almeno a confronto con il frettoloso standard contemporaneo italiano. Le canzoni di Go Go Diva si muovono tutte attorno all’idea di restituire una  ‘consistenza femminile’ autentica e vibrante, cioè esplorare le trame del desiderio e della corporeità, tra ritrosie e richieste esplicite, idiosincrasie, stereotipi da cancellare, erotismi quotidiani e isterie inspiegabili, attenzioni sbagliate e mancate, e quant’altro la canzone italiana a trazione machista non si sforzerà mai di poter cogliere, almeno quanto riesca a fare il realismo lirico di molti dei versi che si ascoltano in questo lavoro: “Dalla mia testa parte / e alla mia testa ritorna / una canzone che fa esplodere i denti / e mentre rido dimentico di aver pianto / la mia lingua si muove da sola / e canto (dalla notevole “Questo corpo”, già nella nostra Top 40 di fine 2018). 

La grande intuizione di queste canzoni è rapportarsi verso chi ascolta in termini che non sono né accusatori né tantomeno escludenti: è una visione dell’emotivo femminile in cui l’uomo è parte egualmente attiva, in un gioco di azione e reazione che è un invito continuo all’immedesimarsi, come se si volesse dare la chance a chiunque ascolta di vivere un’esperienza extra corporea, un trapasso emozionale e carnale.

La costruzione musicale è completamente attraversata da questa visione a due i pesi ‘classici’ dei ruoli maschili e femminili sono costantemente ribaltati. Se le canzoni sono completamente focalizzate sulla voce ora possente e ora fragile di Veronica Lucchesi, il tappeto musicale progettato da Dario Mangiaracina vi si relaziona con cura certosina, se non maniacale, guidato da una visione che sa essere magniloquente e ambiziosa, pensando spesso in grande, ora lasciando la voce isolata nella sua vulnerabilità, circondata da vuoti, ora ingrandendola a dismisura, tessendo cascate di suoni elettronici e distorsioni gassose che si intersecano con il piano vocali fino a diventare un tutt’uno di strabiliante sensualità.

“Woow”, sapientemente scelta come finale dell’album, porta a compimento questo prendersi le misure, incontrarsi, scontrarsi e intrecciarsi, mettersi nei panni dell’altro, trasformando il tutto in una chiusura trionfale. “Adesso accenditi / accenditi un po’ / rivestiti dei panni miei / sei la donna che vorrei / stacci tu nei sogni miei / già che ci sei / io che ti farei”: nella descrizione audace di una richiesta di capovolgimento dei ruoli sensuali/sessuali, nella scia del topos esplorato da Prince in If I Was Your Girlfriend, La rappresentante di lista certifica la vittoria di questo rapporto denudato dalle sovrastrutture, di questo viaggio nella polpa più intima del desiderio. La donna di “Woow” esiste e vibra e pulsa e gode e vuole e chiede e torna indietro e va avanti e, soprattutto, ama e chiede di essere amata: la modalità con cui sceglie di esprimere tutto ciò è un abbraccio gioioso, è una tensione aperta verso chi vi si avvicina. Perché alla fine si può essere da un lato o dall’altro, immedesimarsi o cercare di capire, restare in disparte o farsi completare totalmente: quel che conta è che, se ci si è disposti in modo fertile rispetto a questa richiesta di attenzione, si corre il rischio di raggiungere l’idilliaca empatia, lo stato supremo di consonanza tra le anime e i corpi, l’estasi.

Che è ciò di cui parla “Woow”, titolo-palindromo-interiezione che visualizza completamente il parossismo, il punto di arrivo, la festa dei sensi raggiunta dopo che le due metà sono entrate in simbiosi, una ha raccontato questo corpo e l’altra l’ha ascoltato e osservato, accorgendosi che esiste, in tutte le sue ombre, le discese ardite e le risalite, gli echi, le casse di risonanza e le sorprese inaspettate. Non resta che esserne fieri, prenderne atto, prenderne tutto il buono, e gioire, in un ritornello synth-pop esplosivo come una cascata: “Oh wow, oh wow / Tremi un po’, e tremo anch’io / Ho capito tardi come stai / Hai sentito il mondo urlare / Non c’è niente di male / Non c’è niente di male / Non vogliamo farci male”.

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