Mi persi
da Il latitante, Sony/Epic, 2007
Pubblicata a sorpresa mesi prima che ci fosse un album, passata in radio soltanto per un giorno, utilizzata nel film Notturno bus di Davide Marengo, Mi persi ha a che fare direttamente con il titolo dell’album che apre, Il latitante, su toni al ribasso e insolitamente contenuti.
Contraltare ‘serio’ di quella tragicomica Paranza portata da Daniele Silvestri a Sanremo 2007, Mi persi cela, dentro le vesti di una ballata soffusa e jazzata, un gesto nell’isolamento deliberato e di fuga, non per forza salvifica. Rievoca quel tempo in cui, percepito l’inizio della fine, in una relazione amorosa o in un tempo centrale della vita, si tenta il tutto per tutto imponendosi un mutamento, inseguendo un’ultima spiaggia, a rischio di smarrirsi definitivamente: “decisi di cambiare totalmente la mia posizione / è solo che / mi persi” (e chissà che non abbia a che vedere direttamente anche con l’altra canzone di isolamento dell’album, “Sulle rive dell’Arrone”). Le note di pianoforte accompagnano come fluttuanti, esanimi. La voce di Silvestri è come spezzata, privata di ogni energia, come ovattato nel chiuso di uno stanzino, eppure allo stesso è tempo stellare, proiettata verso il vuoto, come accade a volte con il Vasco Rossi più esistenziale (appurata la distanza siderale tra Silvestri e il rocker di Zocca, si può dire abbastanza serenamente che “Mi persi” è affine nello spirito di un brano come “Gli angeli”).
Eppure non è una canzone di afflizione senza ritorno: dopo essersi dimenato all’impazzata, essere sfuggito senza addurre troppe spiegazioni, aver esaurito energie, pensieri e carburante, giunto al punto di svuotamento estremo, il narratore di “Mi persi” sembra trovarsi in presenza di qualcosa che si avvicina al punto assoluto della sconfitta, alla massima frantumazione del sé. E allora può rendere giustizia al percorso di smarrimento culminando in una richiesta di pietas, di strabiliante verità, costruita su piccolo crescendo armonico, un finale spento e vulnerabile, che però è anche una piccola sublimazione:
“E adesso perdonami se
mi è rimasta soltanto
la parte peggiore di me”.
La canzone finisce lì, senza chiose ulteriori. L’album comincia sul serio, l’ironia consueta è pronta a fare il suo gioco. Si riparte da qui.