Categorie
Articoli recenti

No posts were found.

Se adesso urlo riesco a frantumarla: ‘Tregua’ live, vent’anni dopo

Che fosse una sincronia casuale o un contesto di grazia, il prodotto del coraggio di etichette e realtà produttive nella loro fase illuminata e di un mercato discografico assetato di novità, non ancora con le ossa rotte, è complesso stabilirlo: di certo c’è che il 1997, venti anni fa, fu un’annata d’oro per la scena musicale alternativa italiana. Molti album destinati poi a rappresentare al meglio quel decennio furono pubblicati a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, aiutando diversi artisti a sfondare le pareti del piccolo club dell’indipendenza per approdare nel mainstream. Non durò tanto, ma ci lasciò eredità importanti.

Nel 2017 c’è chi ha soprasseduto e chi ha invece voluto celebrare l’anniversario. Non tutte le iniziative hanno concretamente aggiunto qualcosa, cercando di andare oltre raccolte di circostanza e tradizionali riaperture di archivi. Certamente ha lasciato una traccia l’operazione di Mauro Ermanno Giovanardi, che con La mia generazione si è fatto carico della catalogazione di queste esperienze artistiche, come il curatore di un antologia: Massimo Volume, Afterhours, Bluvertigo, Subsonica, gli Ustmamò di Mara Redeghieri, Neffa. E Cristina Donà.

È sempre il 1997 quando Donà pubblica il suo esordio, Tregua, per Mescal. Alla produzione c’è Manuel Agnelli, protagonista e demiurgo di questa scena alt nel pieno della sua gloria. È un lavoro urtante, ricco di spigoli, viscerale, affidato a una poesia brulla, che rielabora l’immaginario della ferita d’amore con un lessico chirurgico e a tratti sensuale, ma di una sensualità liminale, a un passo dal crollo. È un album unico e dirompente, che imprime il nome di Donà come una influenza imprescindibile per ogni artista che vorrà proporsi, da adesso in avanti, oltre forme sanremesi. Soprattutto ogni artista donna, ma non solo.

Nell’anno 2017 delle celebrazioni, Cristina Donà ha scelto la strada più impervia e meno autoreferenziale per riprendere Tregua. Collocandosi in una posizione tra la mentore e la madre ‘alt’, ha coinvolto undici giovanissime leve chiedendo loro di rileggere, in decisa libertà, le tracce dell’album. È un’operazione rischiosa: dove Giovanardi ha fatto diventare quasi dei ‘classici’ gli inni di un tempo (compresa, paradossalmente, “Stelle buone”), Donà ha radicalizzato l’opportunità, usando le trame del disco per mostrarne le potenzialità inespresse. Osando, ha mostrato concretamente quanto Tregua fosse avanti rispetto al suo tempo: basta ascoltare l’attualità acustica delle riletture di Birthh, Simona Norato, Blindur, Io e la Tigre, per averne un saggio.

 

Però, onestamente, il vero plus è stato poter riascoltare Tregua per intero dal vivo, nella tournée che Cristina Donà sta portando in giro per i club (la data a cui ho assistito è quella del 1° dicembre a Milano, in un Serraglio affollatissimo). Perché se alcune di queste canzoni – le più acustiche, le più vicine a una forma convenzionale – sono rimaste delle pietre miliari nel repertorio fisso dei live (L’aridità dell’ariaPiccola faccia), altre sono ripresentate come autentiche occasioni preziose, esecuzioni rarissime.

LabirintoRaso e chiome biondeSenza disturbare: sono i brani più noise di Tregua, forse dell’intero repertorio dell’artista. Donà sembra compiacersi molto nel rifarli, lasciando la band libera di prendere i lembi liberi di queste armonie sbilenche ed espanderli in direzioni inattese, ora grunge, ora jazz, in cui una grossa responsabilità la gioca l’imponenza dei fiati di Gabriele Mitelli. Labirinto, in particolare, pare una canzone impossibile da scrivere oggi, indolente e strisciante com’è, nella sua sensualità morbosa: l’interpretazione è accorata ma anche un filo sopra le righe, come se Donà stesse deliberatamente caricando la canzone di un’ironia leggera.

Nel finale spazio a tre canzoni da Dove sei tu, una scelta legata anche all’occasione speciale: nel pubblico c’è Davey Ray Moor, che produsse l’album traghettando Donà e in nuovi lidi sonori, sorprendentemente solari (vedi Nel mio giardino, un simbolo del nuovo corso). Cristina ride, scherza, ironizza sulle stesse canzoni senza abbatterne l’intensità: Dove sei tu, la title track, lenta e suadente, è cantata in coro da un pubblico quasi restio ad alzare troppo la voce, come a distruggerne la magia melodica.

È già un’altra celebrazione questo bis, tuttavia, un altro secolo, altri suoni. È il live, ancora più della sua matrice discografica, cioè Tregua 1997-2017, a certificare e ribadire la forza intatta di Tregua, la sua assenza di compromessi, l’intelligenza su filo tra controllo e deragliamento della Donà dal vivo. Con questo vestito rock era da tanto che non capitava di vederla, live. E le sta ancora da Dio.

L’aridità dell’aria #Tregua #cristinadonà @serragliomilano

A post shared by Vincenzo Rossini (@instavinz) on

Dove sei tu #Tregua #CristinaDonà @serragliomilano

A post shared by Vincenzo Rossini (@instavinz) on

 

Come un’ultima frase da terminare #Cristinadonà #Tregua #Goccia #livemusic

A post shared by Vincenzo Rossini (@instavinz) on

Cristina Donà – Tregua Live 1997 – 2017 – Serraglio, Milano, 1-12-2017

Scaletta

Ho sempre me
L’aridità dell’aria
Stelle buone
Labirinto
Raso e chiome bionde
Le solite cose
Piccola faccia
Senza disturbare
Ogni sera
Risalendo
Tregua

The truman Show
Dove sei tu
Universo
Goccia
Invisibile

Il tuo nome

Formazione: Cristiano Calcagnile (batteria, percussioni e arrangiamenti), Lorenzo Corti (chitarre elettriche), Danilo Gallo (basso), Gabriele Mitelli (fiati e altri suoni sporadici)

Leggi ancora: Politica pure quando respiro: spedizione Caparezza